No, per favore non fermatevi alla parola “imballaggi”, che – a prima vista –allude a qualcosa di tecnico, specialistico, puramente organizzativo. Qui invece la questione è politicissima, nel senso che è destinata a produrre effetti economici e sociali letteralmente devastanti, come Libero vi racconta questa mattina. Ieri una Commissione del Parlamento europeo, con il tripudio dei grillini e l’assenso del Pd (che poi, subito dopo aver tirato il sasso, ha cercato di nascondere la mano), ha dato un primo via libera a un regolamento che assesterebbe un colpo pesantissimo alle imprese e ai consumatori italiani. Il voto decisivo ci sarà a novembre in assemblea plenaria, e c’è davvero da sperare (che in quel momento il centrodestra non resti solo nella sacrosanta difesa dei nostri interessi nazionali.
Di che si tratta? Da anni, sempre su impulso Ue (la maledizione del “ce lo chiede l’Europa”), le nostre imprese, il nostro sistema manifatturiero si sono messi all’avanguardia per ciò che riguarda il cosiddetto “riciclo”. Tutto ciò vuol dire investimenti-macchinari-programmazione: spese ingentissime per orientare la catena organizzativa delle aziende nella direzione che ci veniva richiesta. E che fa ora l’Ue, dopo che noi ci siamo adeguati alle sue richieste? Ci dice allegramente che abbiamo scherzato, cambia schema, fa sapere che il “riciclo” non va più bene, e che improvvisamente serve il “riuso”.
Tradotto in soldoni: tutto ciò che è stato investito e programmato finora non serve più, e occorrerebbe ricominciare daccapo in tutt’altra direzione.
LA STANGATA
Anche un bambino piccolo capisce che molte imprese salteranno, che numerosi posti di lavoro sono seriamente a rischio, e che- se anche si eviteranno questi esiti fatali - nella migliore delle ipotesi si registrerà comunque un pesantissimo aggravio di costi a sua volta inevitabilmente destinato a scaricarsi sui consumatori finali, con un’ulteriore impennata del prezzo dei prodotti. Bell’eurocapolavoro: a imprese e consumatori si impone una sorta di indiretta “eurotassa”, con effetti inflazionistici inevitabili. Ora, le ragioni per arrabbiarsi non si contano più. Primo: ma possibile che, prima di scrivere una norma, non si faccia una minima valutazione sull’impatto concreto che le nuove regole determineranno sulla vita reale di imprese e cittadini?
Secondo: ma quale follia, quale ossessione regolatoria porta Bruxelles a sentirsi in diritto di imporre norme di dettaglio su ogni singolo aspetto delle nostre esistenze? Qui altro che curvatura delle banane o numero di piselli che devono stare in un baccello: stiamo arrivando a livelli manicomiali di pretesa normativa. Cosa aspettiamo a ribellarci? Se una confezione, un imballaggio, vanno bene sia all’impresa che al consumatore, perché devono metterci becco eurodeputati o commissari Ue?
Terzo: siamo dentro un paradigma dirigista alla sovietica che usa ogni argomento (il clima, la salute, ecc) come altrettanti pretesti per fissare i prezzi, per decidere la macchina che dobbiamo acquistare, per stabilire le caratteristiche della nostra casa, per imporci la quantità di energia da consumare e il modo di produrla. È il momento di dire un secco no: questa idea della decisione unica centralizzata, di scelte imposte da Bruxelles su 27 paesi su scala pluriennale (salvo poi cambiare idea e urlare il contrordine), è l’incubo socialista-dirigista-statalista (in questo caso “superstatalista”) in versione aggiornata per il ventunesimo secolo. I pianificatori compulsivi vanno fermati.
EFFETTI COLLATERALI
Anche perché ci sono due ulteriori effetti collaterali. Da un lato, questa follia stavolta va a colpire i beni decisivi per la nostra vita, attraverso una raffica di direttive e regolamenti: la casa (e qui il centrodestra italiano è riuscito a sventare la trappola), l’automobile (con l’eliminazione delle auto a benzina e diesel entro il 2035 l’Italia perderebbe 60-70mila posti di lavoro, tra l’altro con un evidente regalo all’elettrico cinese), la pesca, l’agricoltura, gli allevamenti. E adesso (attraverso gli imballaggi) sarebbe colpita gran parte della nostra manifattura, come già abbiamo visto. Dall’altro, a pagare il prezzo più alto sarebbero i ceti medi: sia le imprese (devastate o caricate di costi insostenibili), sia i consumatori (a loro volta gravati da aumenti di prezzi sempre meno sopportabili). Lo sappiano i profeti del “green”: si stanno comportando da architetti della povertà e del declino. E stanno ponendo le basi per una rivolta popolare che sarà inevitabilmente carica di rabbia e risentimento. Questa idea per cui le élites progressiste (servendosi come utili idioti dei movimenti giovanili ecosvalvolati), per soddisfare i loro capricci intellettuali, stanno mettendo a rischio imprese e benessere (nel caso italiano, pure interi comparti trainanti della produzione nazionale), è ormai un elemento che si è fissato nella consapevolezza di un numero elevatissimo di elettori. Sfidare la rabbia dei miti, da parte degli “illuminati” green, mi pare una pessima idea. Ci ripensino, prima che sia troppo tardi.
Il bilancio delle devastanti inondazioni causate dalla tempesta che ha colpito il Texas centrale sale ad almeno 51 morti. Ventisette i dispersi.Il dato ufficiale fornito dalle autorità parla ancora di 43 vittime ed è probabile aumenti nella zona più colpita della contea di Kerr. Sempre le autorità sabato in una conferenza stampa hanno dichiarato che 15 delle vittime erano bambini. Il governatore Greg Abbott ha promesso che le squadre avrebbero lavorato 24 ore su 24 per soccorrere e recuperare le vittime. Ancora da ufficializzare il numero delle persone disperse, a parte 27 bambine che si trovavano in un campo estivo femminile.