Giorgia Meloni
Che succede? Mentre sono al pezzo, Giorgia Meloni sta svolgendo in Parlamento le sue dichiarazioni prima del Consiglio europeo, nell’agenda di Bruxelles c’è la guerra in Medio Oriente, intrecciata con il conflitto in Ucraina, le ondate migratorie e il rischio di una gelata dell’economia. Il premier ha ripreso il filo della sua strategia di politica estera e ha ribadito: «Ho fatto un anno di governo, ce ne sono altri quattro e poi alla fine chiederò agli italiani cosa ne pensano». Meloni in Parlamento ha risposto punto su punto all’opposizione che ha fatto quello che sa fare al meglio, si è spaccata facendo un gran rumore di piatti rotti in casa. Incapaci di presentarsi uniti perfino di fronte all’orrore dei tagliagole di Hamas, hanno già dimenticato i morti israeliani, i mozzatori di teste di bambini, gli stupratori e rapitori di donne. Il nuovo mantra è quello umanitario, il sistema del mainstream media è tutto filo -palestinese, nelle piazze l’antisemitismo è diventato normale, tollerato dai cattivi maestri di oggi che somigliano tanto a quelli di ieri, che volete farci, vogliono la morte degli ebrei, la loro cacciata da Roma, suvvia, in fondo “sono ragazzi”.
Meloni ha replicato con risolutezza a chi ha cercato di dipingerla come una donna sull’orlo di una crisi di nervi, in ripiegamento e chiusa nel bunker («Meloni blindata», Repubblica), ha riservato agli avversari l’ironia e il sarcasmo, «vi vedo nervosi», intercalava in aula, sottolineando il vuoto e la paura di un’opposizione che vede lo spettro dei cinque anni senza potere, senza posti da distribuire, senza soldi da spendere, l’unica cosa che la sinistra ha sempre fatto con grande efficacia: l’occupazione del potere, la lottizzazione totale, spietata, l’alimentazione del ciclo della spesa elettorale. Contro Meloni da un anno va in onda un copione che è un regolare buco nell’acqua, evocano il fascismo (e perdono), lo sfascismo finanziario (e perdono), la fascio-famiglia (e perdono), lo sfascio-coniugale (e perdono). Perdono sempre, un fenomeno da studiare. Comincio a sospettare che i nemici di Giorgia in realtà la amino senza limiti, fino alla perversione, sono dei sadomasochisti, ogni sconfitta li fa godere mentre cantano Bella Ciao.
Quelli che pensano di saperla lunga, non sanno niente, non hanno mai visto come funziona la macchina di Palazzo Chigi, sfugge loro completamente il mestiere del presidente del Consiglio, ignorano il mondo reale. Meloni non è “blindata”, è un capo di governo che svolge il suo lavoro quotidiano, entra ed esce ogni giorno da Palazzo Chigi, ha il suo studio al primo piano nobile, dove c’è anche la sala del Consiglio dei ministri (che comunica direttamente con le stanze del premier). Là ci sono anche gli uffici dei suoi collaboratori più stretti, qui Giorgia fa quello che fa sempre: prepara gli appuntamenti istituzionali con precisione, la giornata è dettata da un’agenda internazionale e domestica che non si può eludere, studia le carte, scrive i suoi interventi, riunisce il suo staff, consulta i ministri competenti su ogni singolo dossier, sente i partner internazionali. Gli uffici di diretta collaborazione preparano i documenti, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio mette a punto il Consiglio dei ministri con i singoli provvedimenti che diventano disegni di legge, decreti legge, dpcm, norme di vario rango. Tutto è frutto degli uffici legislativi dove lavorano giuristi che sono in stretto contatto con il segretario generale di Palazzo Chigi.
È un lavoro incessante che in uno scenario come questo diventa insonnia perché alla gestione del governo in tempo di pace si somma quella del tempo di guerra, con attività per la sicurezza enormi. I vertici dell’Intelligence presentano i loro briefing periodici al premier che allarga le riunioni ai ministri che devono a loro volta prendere decisioni su indicazione del capo del governo, mentre l’ufficio del Consigliere diplomatico fa il lavoro di preparazione dei vertici internazionali, anticipa con il lavoro degli sherpa le possibili conclusioni, avvisa sulle criticità. Nell’aereo di Stato, questo lavoro prosegue, con il premier che rivede tutte le cartelle preparate per le missioni, discute con i suoi collaboratori ogni singolo aspetto, lima gli interventi, pesa ogni opzione che poi sarà sul tavolo dei vertici e degli incontri bilaterali. È una corsa lunga, il traguardo arriverà tra quattro anni e molte cose ancora succederanno, ma in questo scenario fare meglio era difficile e fare peggio questione di un attimo. Non è il lavoro di una donna sola al comando, ma è la prova più grande nell’arte del comando.