Sul mio taccuino ci sono tre fatti: primo, una delegazione di Hamas è a Mosca; secondo, mentre i terroristi palestinesi volano in Russia, il Consiglio europeo a Bruxelles ha trovato un difficile accordo dopo cinque ore di discussione sulle «pause umanitarie»; terzo, i tagliatori di teste di bambini ebrei dicono che 50 ostaggi sono morti sotto i bombardamenti degli israeliani.
La prima notizia è una conferma del legame tra le due guerre, quella in Ucraina e quella in Medio Oriente, di dritto e di rovescio ci sono le impronte digitali della Russia e dell’Iran di cui Mosca è alleata; la seconda notizia è la danza macabra dell’Europa, la paura dei suoi leader di fronte alla minaccia, l’incapacità delle classi dirigenti di misurarsi con l’orrore della storia, il tremore di fronte alla necessità della guerra per costruire la pace; la terza notizia è l’ulteriore passo avanti della strategia di Hamas per la mostrificazione di Israele, far apparire gli ebrei come spietati carnefici dei loro fratelli.
Siamo di fronte al classico gioco di fumo e specchi di chi vive nell’inganno, lo pratica e lo eleva a dimensione totale dell’esistenza: la Russia si presenta come alfiere della pace mentre muove guerra, trasforma Hamas in interlocutore politico e fa il ping pong con la Turchia di Erdogan che definisce «combattenti» i tagliagole palestinesi; l’Europa che ha dimenticato il nazismo e l’Olocausto è tornata sonnambula di fronte alle belve che stanno affilando la lama per continuare lo sterminio; Hamas ribalta la storia e gli ostaggi diventano vittime del nemico. Mentre scrivo il pezzo, i telegiornali strillano numeri di morti e feriti da Gaza che hanno un problema non piccolo per chi fa il giornalista: la fonte. «Non mi fido» ha detto Joe Biden riferendosi ai numeri sui morti e i feriti che arrivano da Gaza. Biden è un uomo che viene dalla Guerra Fredda, ha conosciuto la disinformatia della Russia e dei paesi arabi, nella Striscia di Gaza regnano l’assassinio e la menzogna.
C’è chi gli crede. C’è chi parla di pace andando a caccia di voti che non arriveranno, mentre in tutto il mondo si è (ri)aperta la caccia all’ebreo. E c’è chi fa il predicatore, il Mullah da salotto tv, il nuovo idolo dei fanatici islamisti. Contenti e profeti, fino a quando scopriranno la realtà.
VOTATI ALLA MORTE
Non sanno quello che fanno, gli utili idioti del jihad. Hamas cerca la morte di ogni ebreo, di ogni occidentale e perfino di ogni palestinese, perché la sua ragion d’essere è la morte, per i terroristi deve scorrere il sangue perché si riversi tutto sulla bandiera di Israele. Diranno al mondo: «Sono stati loro». E il mondo crederà a Hamas perché l’indifferenza ora è la mossa più facile, voltare le spalle e alzare il calice a una libertà di cui abbiamo dimenticato le origini, il sacrificio, il valore.
L’obiettivo di Mosca è quello di continuare a logorare la resistenza delle democrazie in Europa e tenere impegnati gli Stati Uniti in due guerre, fino a provocarne il ritiro da uno dei due fronti. Hamas in questa storia è un soggetto secondario, ma è fondamentale per mantenere lo status infernale di Gaza, un luogo senza speranza che serve allo scopo: alimentare il sentimento anti-semita che serpeggia liberamente in Occidente (Italia, compresa, in forma virulenta), isolare Gerusalemme fino a creare le condizioni per la sua caduta.
ALL’ONU DI HAMAS NON SI PARLA
Hamas sa di poter cogliere la vittoria, perché l’Europa e gli Stati Uniti sono prigionieri della politica dell’appeasement, sono pronti a concedere tutto quello che serve ai terroristi per riarmarsi e colpire ancora, con piani sempre più audaci. Il copione è visibile: condannare Hamas, dire che Israele ha il diritto di difendersi, ma non di attaccare, il risultato è che lo Stato ebraico deve subire.
Quello che accade all’Onu è esemplare: la Giordania ha presentato una bozza di risoluzione dove Hamas non c’è. Per queste ragioni Israele è in pericolo come non mai. Non abbiamo Winston Churchill in Europa e in America c’è Joe Biden, un presidente anziano, con un Congresso spaccato che riflette due Americhe che non si parlano. C’è speranza? Anche nell’ora più buia, Israele è una grande democrazia fiorita su un terreno dove si semina la tirannia, bisogna sperare nel suo parlamento, nel suo esercito, nella dura prova che attende i suoi leader. È già arrivato l’oblio per i corpi senza testa dei bimbi ebrei, i resti carbonizzati di persone abbracciate, le donne violentate, seviziate, fatte a pezzi, le stanze della mattanza.
COMPLICITÀ
Silenzio complice sugli uomini e donne di Gaza che cantano e ballano ogni volta che muore un ebreo; domina il mutismo sui complici di Hamas che tengono prigionieri gli ostaggi; non una parola sulla corruzione, il crimine, gli ottomila razzi lanciati in questi giorni dalle case di Gaza su quelle degli israeliani, sugli arsenali nascosti dove ci sono ospedali e scuole. «Gaza è immacolata, Israele ha le mani lorde di sangue», questo è il verdetto dei giornali, delle televisioni, degli allineati e coperti, degli ignavi, dei sonnambuli, dei belli addormentati. Fino a quando la guerra islamista non coglierà tutti nel sonno, nella prossima strage degli innocenti.
Il bilancio delle devastanti inondazioni causate dalla tempesta che ha colpito il Texas centrale sale ad almeno 51 morti. Ventisette i dispersi.Il dato ufficiale fornito dalle autorità parla ancora di 43 vittime ed è probabile aumenti nella zona più colpita della contea di Kerr. Sempre le autorità sabato in una conferenza stampa hanno dichiarato che 15 delle vittime erano bambini. Il governatore Greg Abbott ha promesso che le squadre avrebbero lavorato 24 ore su 24 per soccorrere e recuperare le vittime. Ancora da ufficializzare il numero delle persone disperse, a parte 27 bambine che si trovavano in un campo estivo femminile.