Ai tempi di Luciano Lama la Cgil non si sognava di soffiare lo scettro alla politica, avrebbe fatto un passo avanti e uno indietro se necessario, ma sempre restando un gradino sotto il segretario del Pci, perché il sindacato era autonomo, ma il primato della politica era sacro. Lama concluse nel 1986 il suo mandato iniziato nel 1970, sedici anni di profonda trasformazione per l’Italia, con la tragedia del terrorismo, la fine della fabbrica fordista, il preludio del crollo del comunismo e un voltapagina della storia in cui il sindacato cominciò a smarrirsi sempre più sul terreno dove non avrebbe dovuto avventurarsi, la politica.
Landini ha chiuso il cerchio e superato ogni barriera, compresa quella del buonsenso. Estinta la forma partito del Novecento, ha visto il punto di implosione del sistema e ha usato la macchina della Cgil per sostituirsi alla politica. Ha i mezzi che i partiti non hanno più: i tesserati, tanti soldi, la presenza capillare sul territorio, l’organizzazione logistica e la massa d’urto da muovere a comando. Ha fallito come sindacalista, ma non è quella la sua missione: Landini fin dai tempi in cui era segretario della Fiom coltiva l’idea della scalata al vertice della sinistra italiana. I metalmeccanici per lui furono la prima officina, il luogo mitico dal quale catapultarsi prima alla guida del sindacato rosso e poi sul ponte di comando della politica.
L’operazione non è mai riuscita a nessuno, Sergio Cofferati sembrò vicino all’impresa, ma il “cinese” cadde nel vuoto, nonostante avesse riempito il Circo Massimo di illusioni. Landini è un dadaista che va preso sul serio perché è oltre l’utopia, non si pone il problema del “che fare” del lavoro, egli fa e disfa, critica la norma e poi la applica (chiedere al suo ex portavoce licenziato), si auto-valida e auto-affonda, è una variabile indipendente dalla fabbrica, dall’acciaio, Stellantis per lui è cosmologia non un problema italiano con l’automobile, non ha in mente un sindacato, ma un movimento extraparlamentare pronto alla surroga dei partiti, non chiude contratti, apre discussioni sui massimi sistemi senza sistemare nulla.
Non svolge il suo mestiere, ma spiega come si fa quello altrui, è pronto a rivendicare la guida spirituale di Confindustria, ha il capitalismo in tasca e la confusione in testa. Che cavalcata. Lama disse che «Natta non è Berlinguer» e nel raschiare il fondo della classe dirigente siamo giunti inesorabilmente al Landini che non è Lama.