Giuseppe Conte
In una fase irripetibile della storia italiana, un signor nessuno diventò presidente del Consiglio, costui era Giuseppe Conte. Di lui si sapeva che faceva l’avvocato, nell’ambiente romano degli studi legali era non pervenuto. Questa sagoma giurò dal presidente Mattarella e a tutti venne un dubbio: ma che cavolo sta succedendo?
Succedeva che la prima prova del Movimento Cinque Stelle al governo rispettava il copione dell’uno vale uno, cioè di uno qualsiasi al timone, Conte era scolpito per quel ruolo: totalmente all’oscuro del mestiere della politica, senza un passato visibile, gestore del nulla, un aspirante Forlani senza il talento dell’Arnaldo, ma un perfetto trasformista.
Si presentò alle Camere come «avvocato del popolo» e dimenticò all’istante di essere un miracolato per vestire i panni dell’uomo della provvidenza. Sfiammò il suo primo governo con la Lega e nel concedere lestamente il bis con il Partito democratico non solo non si sentì in imbarazzo per il leggero ribaltone, ma rivendicò gonfiando il petto di essere sempre stato di sinistra.
Quando arrivò il Covid in Italia Conte disse «è tutto sotto controllo», poi chiuse a chiave l’intera nazione. Fu una stagione indimenticabile con il paese sprofondato nel terrore e nel caos sanitario, i Consigli dei ministri carbonari, i punti stampa notturni su Facebook, le veline dell’unico cervello acceso allora a Palazzo Chigi, quello di Rocco Casalino. Conte rivelò presto la sua natura da Gran Visir, fu per lui naturale ispirarsi a Xi Jinping, al punto da sottoscrivere con Pechino un patto sulla Nuova Via della Seta, unica nazione del G7. Era pieno di talento, si capiva, nella pochette il vuoto, nella testa le faq per regolare gli «affetti stabili». Capolavoro dei lockdown trascorsi su Netflix.
Niente lo vincola, tutto lo libera, Conte è uno, nessuno, centomila. Nel giro di un paio d’anni ha buttato giù tutti i birilli della sala da bowling grillina: via il figlio di Casaleggio, a casa la Raggi, Di Battista a fare la majorette di Gaza, Di Maio kamikaze inamidato, tutti quelli che fondarono il partito con Beppe Grillo sono evaporati di fronte alla macumba del Conte. L’Elevato del Sacro Blog lo percula ogni volta che può e lui, Conte, fa finta di stare al gioco, ma soffre da pazzi, è roso dal tarlo del narcisista che non si sente amato e non si spiega perché non spargono petali di rosa al suo passaggio. Conte ha trasformato il Movimento, l’esperimento di democrazia diretta, in un caso esemplare di nullismo monarchico. Due volte al governo, sempre affondato. Ora dà lezioni di bon ton di Stato a Giorgia Meloni su Repubblica e in effetti ha i titoli: è passato dal Superbonus al Superpacco, si guarda allo specchio come il Re Solo e si è rivelato un Re Sòla.