L’insuccesso dà alla testa. Ne è buona testimonianza la pazzotica parabola politica dei grillini, transitati in pochi anni dall’“uno vale uno” all’“uno vale l’altro”, ma ora approdati – sotto il ferreo dominio di Giuseppe Conte – al “vale solo uno”. E cioè lui: l’uomo dei lockdown infiniti, dei dpcm per dirci la sera cosa potevamo fare il mattino successivo, dei banchi a rotelle, dei russi che scorrazzavano per l’Italia, degli inchini ai cinesi.
Basta un clic per recuperare online le scene imbarazzanti e grottesche di Conte in non poche piazze del Sud, accolto dallo sventolio delle tesserine del sussidio e dal grido: «È arrivato il papà del reddito di cittadinanza». Per non dire dei comizi in formato televendita, quando l’uomo della pochette, promettendo mirabolanti ristrutturazioni a spese dei contribuenti, inanellava una compilation di «gratuitamente». Anzi, il format prevedeva il giochino con il pubblico a domanda e risposta: «E come la facciamo questa cosa?», chiedeva sornione lui. «Gratuitamenteeeeeee», rispondevano estasiati i militanti grillini. Risultato: buchi da tutte le parti e conti pubblici sfasciati.
Sempre lui - ancora lui - proprio lui, direbbero i telecronisti Sky: oggetto – ogni volta che capita – del feroce sarcasmo di Beppe Grillo, che letteralmente non lo tollera, e lo infilza con l’arma che Conte teme di più: la messa in ridicolo. Pure qui, la galleria degli sberleffi è ormai infinita: «Non ha visione politica né capacità manageriali» (una vera e propria lapide), «Mandate i vostri progetti a Conte, prima o poi capirà» (suggerimento ai militanti), «Lo abbiamo scelto perché non si capisce quello che dice: dunque è perfetto per la politica» (penultima bordata, ospite di Fabio Fazio), «È più espressivo di lui» (ultimo sfregio grillesco, rivolgendosi all’avatar dell’avvocato).
Certo, prima o poi, quando si scriverà la storia italiana di questi anni, andrà chiarito il mistero di questo sconosciuto avvocato issato per due volte alla Presidenza del Consiglio: una prima volta, dalla anomala alleanza gialloverde; una seconda volta, dall’ammucchiata giallorossa. E con il Quirinale, su altro e su altri nomi sempre occhiuto e severissimo, in entrambe le occasioni apparentemente privo di obiezioni.
Diranno i lettori più ottimisti: ma dov’è il problema? In fondo, oggi, non appare lontano il tempo in cui, quasi senza accorgercene, ci ritroveremo a parlare del Movimento 5 Stelle usando il passato remoto: trattandolo come una parentesi tutto sommato folkloristica nell’evoluzione del bestiario politico italiano. Ma risponderanno quelli più pessimisti: possibile che Conte sembri destinato a non pagare mai dazio, nemmeno elettoralmente? Nel settembre 2022, nonostante il doping politico del reddito di cittadinanza, si era fermato al 15,6%, dimezzando il 32% del 2018. Eppure nessuno gli presentò il conto. Alle amministrative della scorsa primavera i pentastellati hanno dovuto fare i conti con un autentico bagno di sangue. A puro titolo di promemoria, ricordo: 1,4% a Brescia, 1,7% a Vicenza, 1,4% a Siena, 2,2% a Teramo. Roba, se non da estinzione conclamata, da pre-sparizione.
Eppure, un partito ridotto in queste condizioni, per giunta rappresentato nelle istituzioni da un ceto parlamentare spesso imbarazzante, non di rado in lotta (perdente) sia con i congiuntivi sia con l’aritmetica, continua in qualche modo a fare rumore e a garantire centralità al suo capetto, diabolicamente assistito dal fido Rocco Casalino. Solo negli ultimi giorni le esibizioni si sono succedute a raffica e a volume sempre più alto: la grottesca richiesta di giurì d’onore contro Giorgia Meloni, la chiassata in Aula ai limiti dell’esplosione della giugulare, il video farlocco del dibattito mai avvenuto con la premier per imbrogliare un po’ di tonti sui social, e ieri la crisi isterica per la sola ipotesi di una riapparizione sulla scena di Luigi Di Maio, segno che Conte non vuole rivali né vecchi né nuovi, né reali né potenziali.
Ormai l’uomo vede i fantasmi. Le stesse scelte televisive di Casalino, che invia nelle trasmissioni – in quota M5S – alcuni inconsapevoli malcapitati a farsi sbeffeggiare e massacrare, servono all’unico obiettivo che conta: rendere insostituibile il ruolo di Conte. Ecco, l’importante è sape re cosa dobbiamo aspettarci da qui al 9 giugno, giorno delle Europee. Conte è disperato, teme il peggio, ed è pronto a tutto, a qualunque sceneggiata incendiaria, pur di tener su i sondaggi. Lo aiutano – inconsapevolmente – i protagonisti della sinistra politica e mediatica, con il Pd di Elly Schlein che, anziché puntare a differenziarsi dai pentastellati, ha scelto la logica di un surreale inseguimento dei grillini. E lo stesso – dal punto di vista editoriale – sembrano fare i quotidiani del gruppo Gedi, Stampa e Repubblica, che accettano la vera e propria egemonia esercitata in quell’area dal Fatto quotidiano. Deriva curiosa. Ci avevano raccontato, prima, durante e dopo il lavacro delle primarie, che si trattava di ridare identità autonoma al Pd, anzi di aprire la competizione con i Cinquestelle.
Di più: di non apparire subordinati ai grillini, di respingere l’opa pentastellata, di affermare il protagonismo dem. E invece che fa da mesi Elly Schlein? Culturalmente parlando, si consegna a Giuseppe Conte (e per altro verso a Maurizio Landini), certificando un ruolo gregario rispetto a M5S e Cgil. E infatti, al massimo, Pd e M5S competono tra loro per sfilarsi quote del medesimo bacino elettorale, ma senza alcuna capacità – e forse nemmeno l’ambizione – di allargare la loro interlocuzione ad altre aree della società italiana. Ma è proprio questa disperazione di fondo, questa mancanza di prospettive, che indurrà le minoranze (e soprattutto il protagonista più spregiudicato, cioè Conte) ad alzare ancora i toni, ad arroventare il clima, ad agire da piromani politici. Il copione è già scritto: noioso, prevedibile, ma non privo di pericolosità.