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Daniele Capezzone: il temino antifascista della Schlein

di Daniele Capezzone giovedì 11 gennaio 2024

3' di lettura

No, purtroppo non è uno scherzo, non è una beffa, né una feroce parodia: è successo davvero, ieri pomeriggio alle 15 precise. Nuovo anno, prima seduta politicamente rilevante della Camera dei Deputati, interviene Elly Schlein, segretaria del secondo partito italiano, a cui Giorgia Meloni ha appena offerto – qualche giorno fa – un grande e costruttivo dibattito davanti al paese. Ci si aspetterebbe una risposta politica, un gesto significativo, un’iniziativa adeguata, una parola finalmente all’altezza di una sfida che sarebbe massimamente utile all’Italia, oltre che al Pd. E invece Elly che fa? Si esibisce in una stanca tirata (peraltro prestampata, come vedremo tra un attimo) sul fascismo, sul 2024 come possibile nuovo 1924, sulle presunte offese in corso nientemeno che verso la Resistenza. Incredibile: ma è andata proprio così.
Com’è noto, il meccanismo del question time prevede uno schema fisso: interrogazione del parlamentare (in questo caso, della Schlein sui fatti di Acca Larentia), risposta del Ministro degli Interni Matteo Piantedosi, replica finale del deputato per dichiarare se sia soddisfatto o meno della risposta ricevuta.


Per definizione, la replica dovrebbe avvenire a braccio: il parlamentare dovrebbe cioè reagire a caldo a ciò che il ministro ha appena detto. E invece Elly tira fuori un foglietto già pronto con le sue giaculatorie antifasciste, il suo temino tardoresistenziale, il suo comizietto già sentito mille volte e sempre uguale a se stesso contro le destre cattive, l’onda nera, il pericolo fascista in agguato. Roba da assemblea studentesca, di una povertà politica sconfortante.

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IL CONFRONTO

Possibile che il maggior partito della sinistra italiana non abbia nulla di meglio da offrire? Eppure basterebbe guardarsi intorno. A noi di Libero i laburisti britannici non piacciono, ovviamente: ma il loro leader Keir Starmer sta facendo di tutto per mostrarsi pronto a fare il primo ministro dopo le prossime elezioni. Pensiamo ancora alla Francia: di tutta evidenza, il nuovo capo del governo francese designato da Emmanuel Macron, il 34enne Gabriel Attal, è lontanissimo dai gusti di questo giornale: ma da ministro dell’Educazione è diventato il politico più popolare di Francia e, pur in un governo tecno-progressista, ha comunque fatto qualcosa “di destra” dicendo no alla possibilità di indossare a scuola la tunica islamica che copre tutto il corpo femminile. Sono solo due esempi: ma mostrano profili e leader che puntano a vincere, a essere maggioritari, a interpretare sentimenti non rinchiusi in un recinto ideologico settario.

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Ecco, Elly Schlein – invece – non solo non ci riesce ma neppure ci prova: appare barricata in un angolo minoritario e sembra perfino compiaciuta di questo posizionamento angusto. È come se sapesse che la coperta di Linus dell’inesistente rischio-fascismo è l’unica cosa in grado di rassicurare e tenere unita una sinistra altrimenti smarrita. O forse è così consapevole del disastro politico e culturale della sua parte che accetta di giocare solo in difesa, per mantenere i voti che già ci sono, senza nemmeno l’ambizione di provare ad allargare un po’ il perimetro del consenso.


 

TONI SBAGLIATI

Ieri, in modo acuto e intellettualmente onesto, è ciò che ha fatto osservare sul Fatto un uomo non certo sospettabile di simpatie meloniane come Antonio Padellaro, che, rivolgendosi alle minoranze («Pd e M5S, sicuri che questa sia l’opposizione?»), ha annotato come loro calino e Fratelli d’Italia cresca nei sondaggi, a dispetto dei toni apocalittici di Schlein e Conte. Eppure, l’opposizione non pare in condizione di produrre altro. Il massimo della fantasia, anche nei media d’area, è il solito logoro schema della chiamata dello straniero per denunciare il presunto risorgente fascismo italiano. Per ora si è prestato a essere politicamente riesumato (da Giovanni Floris su La7) Yanis Varoufakis, così come si segnala uno scombiccherato tweet di Guy Verhofstadt che, citando l’ineffabile Paolo Berizzi, si è messo a frignare contro il “ritorno del fascismo” in Italia. E ieri la farsa è stata esportata pure a Strasburgo, con la surreale decisione del Parlamento europeo di calendarizzare un dibattito sulla «rinascita del neofascismo (...) a partire dal corteo svoltosi a Roma il 7 gennaio».

Un delirio. Tutte cose che suonano false alla stessa opinione pubblica di sinistra: diciamolo chiaramente, non ci crede nessuno nemmeno da quella parte, come testimoniano i risultati delle elezioni di settembre 2022. Quella campagna elettorale fu tutta giocata sul tentativo di “fascistizzare” la Meloni, allo scopo di richiamare e mobilitare i possibili astenuti di sinistra. Risultato? Trionfo meloniano, e sinistra ai minimi. Un anno e mezzo dopo siamo ancora lì, e non è una buona notizia.

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