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Egidio Bandini: quando il papà di Don Camillo finì in cella per diffamazione

di Egidio Bandini giovedì 25 gennaio 2024

4' di lettura

Settant’anni fa, proprio in questi giorni, iniziava la vicenda legata alla pubblicazione, da parte di Giovannino Guareschi sul Candido, di due lettere a firma Degasperi, ambedue del gennaio 1944, che costeranno a Giovannino la prima e (sinora) unica condanna scontata in carcere da un giornalista per diffamazione. Condanna le cui conseguenze saranno, per il papà di Peppone e don Camillo, peggiori dei due anni trascorsi nei lager nazisti. La vicenda prende le mosse dalla pubblicazione su Candido della prima lettera, su carta intestata della Segreteria di Sua Santità Pio XII, con la quale si chiedeva agli alleati il bombardamento della periferia di Roma e dell’acquedotto per indurre la popolazione della Capitale a sollevarsi contro i nazifascisti. Il processo è rapidissimo e già ad aprile Guareschi è condannato a un anno di reclusione. Pochi sanno però che l’8 gennaio 1955, un anno dopo la condanna a Giovannino che ancora stava scontando la pena, partì una campagna condotta dalla Tribuna Italiana di San Paolo del Brasile e iniziata con la riproduzione di una precedente lettera, datata 29 agosto 1943, sempre a firma Alcide Degasperi (allora lo statista non si firmava ancora De Gasperi). Già il titolo dell’articolo la dice lunga: «Riveliamo un documento inedito, che dovrebbe fare annullare la condanna inflitta a Guareschi».

Il documento altro non è che una lettera autografa, mai pubblicata sinora in Italia, nonostante l’articolista Piero Pedrazza affermasse apertamente che «Fu dunque la buona sorte che riservò a Tribuna Italiana l’onore di continuare la “dura e nobile battaglia” del Candido [...] Ecco dunque la famosa rubrica del Candido - Il ta-pum del cecchino - rinascere idealmente sulle colonne della Tribuna Italiana. La minacce dell’on. Mario Scelba non varcano l’oceano; non vi è pressione...fiscale che ci possa indurre a miti consigli». La lettera, tre fogli su carta intestata della Segreteria del Papa, esprime compiacimento per l’arresto del Duce avvenuto il 25 luglio e rammarico per le «riluttanze del Re (ed il giusto castigo non gli mancherà certamente)». Mentre «Il Maresciallo Badoglio ha operato egregiamente, ma è necessario sbaragliare al più presto i residui fascisti.» Il documento era stato consegnato a Tribuna Italiana da Enrico De Toma (lo stesso che diede le due lettere a Guareschi) e faceva parte dell’arcinoto Carteggio di Benito Mussolini. Secondo il settimanale brasiliano, De Toma «vuole soltanto che i documenti in suo possesso siano periziati e pubblicati. Poi li consegnerà – “e gratis et amore dei” - al Governo del suo Paese perché siano inclusi nell’archivio di Stato».

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Dunque arrivò notizia anche in Italia (il ritaglio della Tribuna Italiana viene da L’Eco della Stampa di Milano, che forniva alle redazione del Candido i ritagli di tutti i giornali), nel 1955, di questa lettera, ma nessuno si prese la briga di riprenderla o solo di commentarla, nemmeno il Candido. Perché? Probabilmente nemmeno Guareschi volle che la cosa venisse ripresa: De Gasperi era morto il 19 agosto del ’54 e dal carcere di San Francesco Giovannino aveva scritto alla moglie: «[...] Il “Premio Bancarella” mi ha colmato di soddisfazione: e tu puoi bene immaginare il perché! Mi ha invece rattristato la morte improvvisa di quel poveretto. Io, alla mia uscita, avrei voluto trovarlo

IL CONFRONTO CON GLI EREDI
Da quel momento Guareschi non parlerà più di De Gasperi, sino a quando, pur con un pizzico d’ironia, ne rivalutò assolutamente la figura: «Non voglio rivangare vecchie storie che sono diventate polvere di tribunale e di galera: Dio sa come effettivamente sono andate le cose e questo mi tranquillizza in pieno. Né voglio rivedere posizioni che non possono essere mutate in quanto assunte per solo suggerimento della coscienza. Voglio semplicemente rendere omaggio alla verità e riconoscere che, al confronto dei campioni politici di oggi, De Gasperi era un gigante. [...] Non mi risulta più tanto sgradito il monumento che gli hanno eretto a Trento. Rispetto a quello di Dante Alighieri rimane smisuratamente troppo alto. Ma, se il termine di paragone deve essere la statura degli eredi politici di De Gasperi, quel monumento dovrebbe essere alzato ancora di qualche centinaio di metri.

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De Gasperi non era né signore né affabile, né distinto né, tantomeno, d’animo mite come alcuni dei suoi eredi politici: però, anche se ciò dovesse costarmi altrettanti guai di quelli passati, vorrei sinceramente che tornasse.» Delle lettere, facenti parte del famoso “Carteggio Mussolini”, si tornò a parlare nel 1956 nel corso del processo intentato in contumacia contro Enrico De Toma, detentore del carteggio del Duce e fornitore delle lettere a Guareschi. Il tribunale di Milano affidò a un collegio di tre periti l’esame delle due lettere, negato due anni prima a Guareschi, e la conclusione fu che «non esistevano prove tali da stabilire inequivocabilmente la falsità delle lettere». Il commento che fece Giovannino sul Candido fu amaro: «La complicatissima faccenda del Carteggio è finita. De Toma è stato assolto. I documenti del Carteggio in possesso dell’Autorità competente verranno bruciati perché, essendo falsi, è meglio siano tolti dalla circolazione. Tutto finito in un po’ di fumo». Fumo che, sul Carteggio Mussolini, continua ad aleggiare anche 70 anni dopo... 

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