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Alberto Fraja: Potere, successo e talento? Sono una questione di naso

di Alberto Fraja venerdì 2 febbraio 2024

4' di lettura

Noscitur a naso quanta sit hasta viri, si credeva un tempo. Traduzione: è dalla forma del naso che si intuisce la consistenza del gonfalon selvaggio di noialtri maschietti. Strano. Noi sapevamo che il naso fosse simbolo di perspicacia (avere naso) ma anche dei limiti di chi ne è il tenutario (non andare oltre il proprio naso). Sapevamo anche che, in buona parte, è alla sua forma che è affidata la bellezza del viso. Ma che le sue proporzioni indicassero anche la misura del sesso maschile, questo ci era ignoto e comunque la cosa appare alquanto improbabile siccome nulla di tutto ciò sembra essere rintracciabile nell’etimo che, anzi, ne ricorda la funzione meno attraente. Il termine naso infatti è di origine indoeuropea e probabilmente deriva dal greco nao (scorro) che lo mette in relazione con nave, nausea (latino nausea, dal greco nausía “mal di mare”, turbamento dovuto allo scorrere sulle acque della nave) e derivati quali navigare, naviganti, nauseante, ecc.

Ma l’aspetto della questione al quale non siamo soliti pensare è che nei nasi è nascosto un frammento della nostra cultura e della nostra storia. Una storia curiosa e interessante di cui si incarica di disvelare ogni anfratto Caro Veerbeck autrice del libro Sul naso (Il Saggiatore, 232 pagine, 24 euro). Veerbeck conosce bene il suo orticello essendo ricercatrice di “eredità olfattiva” alla Vrijle Universitelt di Amsterdam.

L’autrice fornisce innanzitutto la notizia che non t’aspetti. Fino almeno al XVII secolo l’olfatto era considerato un senso “inferiore” in quanto d’uso comune tra gli animali. Convincimento infondato e poco generoso verso i nostri migliori amici. Il cane, per dire, annusa il sedere del suo consimile per chiedergli come stai e lasciarsi, a propria volta, annusare significa parlare un po’ di sé. Che male fanno povere bestie? Non solo. Secondo questa concezione l’olfatto sarebbe sinonimo di imbestiamento, lontano dalla contemplazione e, dunque, dalla riflessione e dallo sguardo, il mezzo migliore per coltivare l’estetica.

DI TUTTI I TIPI
Pregiudizi a parte, il naso ha sempre rappresentato un formidabile biglietto da visita e carta d’identità del suo possessore. Questa curiosa sporgenza è, oltretutto, nelle sue forme e nei suoi tipi quanto di più vario ci si possa immaginare. Essa ci si presenta di volta in volta adunca, a patata, a sella, all’insù, da bevitore e da befana. C’è poi il naso greco, quello romano, quello camuso, quello cogitativo, quello rincagnito (il naso del pugile), per dirla con il grande Gianni Brera e via elencando. Ci sono nasi che hanno dettato i tempi della storia. Come quello di Cleopatra, per esempio, donna notoriamente potentissima come nessun’altra. Per secoli il suo naso è stato rappresentato in maniera esagerata con lo scopo preciso di emulare quello dei potenti sovrani maschi. «Se fosse stato più corto - ebbe a dire Pascal - tutta la faccia della terra sarebbe cambiata». Attenzione però. La lettura pascaliana è condizionata da una delle scienze più farlocche mai partorite da mente umana: la fisiognomica.

«Secondo le sue leggi, la grandezza di quel naso non era affatto un dato casuale - scrive l’autrice - ma una espressione del suo potere e della sua saggezza che erano ad esse indissolubilmente legati». Ma oltre che di potenza, il naso grosso era considerato anche sinonimo di talento. Basti pensare a quello voluminoso e arcuato del sommo Dante Alighieri. Napoleone Bonaparte, dal canto suo, aveva un naso talmente speciale da fornirlo di un odorato sensibilissimo. Durate il viaggio che lo avrebbe menato all’esilio definitivo sull’isola di Sant’Elena, soffrì di nausea tutto il tempo a causa della vernice della nave. Aveva in tale fissa il naso, le petit Empereur còrso che i suoi collaboratori li sceglieva, oltre che per il fatto di essere portatori sani di fortuna, anche in base alla forma del loro beccuccio.

IL LATO OSCURO
Storia strana quella di Federico da Montefeltro il destino del cui naso è abbastanza noto. Avendo perso un occhio in un duello, per vedere meglio con quello rimasto e non essendo ancora stata inventata la rinoplastica, il duca si fece asportare chirurgicamente parte del ponte nasale. Il risultato è quella sorta di forma ad angolo retto immortalata dal celeberrimo dipinto di Piero della Francesca. Nota: a fornire all’autrice l’idea di scrivere il libro di cui qui si discetta, è stato proprio il naso del duca, figura iconica del Rinascimento italiano. E del magnifico naso del Magnifico? Vogliamo parlarne? Come spesso è accaduto in passato con le persone famose e di successo, egli venne ritratto più volte, anche se soprattutto dopo la sua morte. «Nel ritratto postumo realizzato dallo storico dell’arte Giorgio Vasari il “nasone” di Lorenzo campeggia in tutta la sua gloria. Il dipinto mostra un volto ormai completo, eppure uno scultore, nel suo abbozzo in argilla, decise di allungare la punta del naso» si legge nel libro.

E tuttavia il calco del viso di Lorenzo appena morto fornisce una sorpresa: se ne deduce infatti che il suo naso doveva essere molto più piatto di quanto gli artisti lasciavano trasparire, mentre la punta sporgeva in effetti un po’ più in fuori. Il setto nasale piega verso sinistra subito dopo l’attacco delle sopracciglia e forma quasi una mezzaluna. Quella curvatura è senza dubbio la spiegazione della voce alta e nasale di Lorenzo e della sua anosmia, una quasi totale mancanza di olfatto. Mala nasologia ha purtroppo anche il suo lato oscuro, quello che afferisce alla frenologia e alla stregoneria. La storia ci insegna che spesso è bastata la sola forma dell’organo per fomentare odio. «La stereotipizzazione del naso ebraico conobbe una enorme diffusione durante la seconda guerra mondiale», scrive la Veerbeck. Un contesto di pregiudizio in cui la propaganda nazista sguazzò al meglio identificando le caratteristiche fisiche degli ebrei con quelle di Belezebù. Ma questo, come direbbe Kipling, è un altro discorso.

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