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Senaldi: pur di attaccare il governo Saviano usa pure Sanremo

di Pietro Senaldi lunedì 12 febbraio 2024

Roberto Saviano

4' di lettura

Tutti disperati a Sanremo dacché Amadeus continua a ribadire che non ci pensa neppure a condurre il baraccone per il sesto anno di fila. È già allarme 2025 in Rai, in quanto il Festival rivitalizzato dal signor Amedeo Umberto Rita Sebastiani ha chiuso sfiorando il 75% di share, cosa da altra era televisiva. La successione è in alto mare ma per il ruolo di spalla comica si staglia un’autocandidatura autorevole. C’è un tal Roberto Saviano infatti, che in un’altra vita faceva lo scrittore, che ultimamente ogni volta che apre bocca fa più ridere di Fiorello. Con la tv pubblica si sente un po’ come i Jalisse, un ingiustamente esiliato per questioni politiche. In realtà, il soggettone non appare più perché, come il duo che trionfò nel 1997, da lustri propone il solito unico pezzo che ha. Per tornare sulle scene da protagonista servirebbe cambiare ruolo e copione.

Forse per questo Saviano si è buttato sul grottesco, lasciando il ramo inchieste. Non ci sarebbe nulla di male, quando si è persa l’ispirazione a riciclarsi, se solo fosse una scelta consapevole. Il guaio è che il tribuno non lo ha capito di essere diventato un intrattenitore umoristico e quindi, perché la cosa cessi di essere patetica, glielo diciamo noi. Nessun giudizio, per carità; le sentenze senza fondamento, capo né coda, le lasciamo a lui. Noi ci basiamo solo sulle prove che lo stesso interessato ci fornisce.

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Una delle polemiche di questo Festival riguarda la mancata vittoria di Geolier, cantante di successo di origini napoletane che il televoto degli spettatori aveva incoronato monarca assoluto dell’Ariston, tributandogli il 60% circa delle preferenze totali, per lo più racimolate nella sua Campania. Grazie a questo plebiscito il giovane ha trionfato nella serata dei duetti, provocando la rivolta del pubblico pagante e fischiante del teatro sanremese con conseguenti accuse di razzismo alla platea, che avrebbe preferito un’affermazione di Angelina Mango, Mahmood, Annalisa, la Bertè o comunque molti altri.

Un’idiozia da social, cavalcata dai politici più beceri e scontati, che si sono affrettati a puntare il dito contro il razzismo anti-napoletano e smontata dall’interessato, compostissimo, il quale si è detto dispiaciuto dei fischi ma ha tenuto a precisare in ogni modo che non si sente vittima di sentimenti anti-partenopei. Cionondimeno, Roberto da Caserta è saltato sulla polemica, con la sua consueta grazia pachidermica. «Geolier è stato molto votato? E quale sarebbe il problema», si chiede il fine polemista, prima di perdersi nel suo abisso personale e chiosare: «State pensando al complotto dei napoletani? Ma se vi siete presi tutto il possibile e con il criterio della spesa storica avete reso impossibile ogni miglioramento del Sud». «Oggi l’autonomia differenziata realizzerà per legge la rimozione della questione meridionale e voi rompete le scatole a Geolier», conclude Saviano, per poi attaccare tanto per cambiare il governo, sostenendo che avrebbe «cercato di rendere il Festival il più sterile possibile, ma l’arte è arte...». Raro trovare tante fesserie in così poche righe. Sbalorditivo: lo scugnizzo ha reagito da filosofo ed esperto comunicatore mentre il letterato si è comportato come un tifoso adolescente e ha tentato di riscatenare la solida guerra Nord-Sud.

Cosa c’entra l’autonomia differenziata con il Festival? Come si può accusare di antimeridionalismo chi preferisce Angelina Mango, non propriamente una sudtirolese, a Geolier? Il politicamente corretto è in eterno bisticcio con se stesso: se vince lui, sei accusato di sessismo perché le donne non trionfano mai, se perde Mahmood, sei razzista e odi gli arabi, se non voti Big Mama, fai body shaming; a ragionare come l’autore di Gomorra non ci si può salvare. Peraltro, se Saviano capisse di musica, saprebbe che il maggior numero di fan l’ugola di Secondigliano li raccoglie non a Napoli bensì a Milano e, poi, a Roma. Geolier non è un Gigi D’Alessio, bandiera della canzone partenopea, e neppure un neomelodico di quelli che cantano di amore e di camorra e piacciono in quel di Gomorra. Lui è un trapper, fa genere hip hop ed è ascoltato in tutta Italia, soprattutto al Nord, dove è considerato come Canye West, uno dei più famosi rapper a stelle e strisce. Provaci ancora Roberto, da un po’ di tempo una ne dici e tre ne sbagli.

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A Napoli presto diventerai un numero della smorfia - 47, Saviano che parla – e si giocheranno al Lotto l’incontrario di quel che profetizzi. Metteranno la tua statuina in tasca come un cornetto portafortuna. Ancora se la ridono per quando, giusto per trovare un po’ di visibilità durante le vacanze natalizie, l’anno scorso concedesti l’intervista scoop: «Non faranno vincere lo scudetto al Napoli, si metterà in moto la grande macchina che spinge le squadre del Nord». La storia finì con la squadra campana che trionfò con sedici punti sulla seconda, la Lazio, compagine non settentrionale, e l’interessato che subito la buttò sul patetico: «Avrei voluto essere lì a festeggiare, questo esilio mi pesa».

Ma chi glielo ha impedito? E a chi fa paura oggi questo ex scrittore, che ormai neppure i suoi amici sopportano più di tanto. Avevamo avuto dei sospetti che la vene letteraria del firmatario di Gomorra si fosse esaurita quando diede del “bastardo” a Salvini e Meloni in diretta tv per aver provato a fermare gli scafisti e se la prese perché gli interessati non si convinsero che l’insulto era una licenza poetica, da consentire a un genio come lui. Ora si attacca allo scugnizzo per succhiare l’arte altrui come ha aveva fatto trasformando il funerale della sua amica Michela Murgia, più ricca di talento di lui, in un comizio dal pulpito. È stato per un periodo lo scrittore più famoso d’Italia, ora è una tassa, di quelle datate ma che ancora paghiamo, un po’ come l’accisa per la ricostruzione post-terremoto del Belice del 1968 che versiamo allo Stato su ogni litro di carburante che mettiamo nel serbatoio delle nostre auto. Solo che almeno quel fastidioso balzello non ci fracassa i timpani sproloquiando ogni due per tre, Saviano invece imperversa.

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