Nel cimitero monumentale di Staglieno, Genova, accanto alla tomba di Giuseppe Mazzini c’è quella in cui riposa dal 1885 Michele Novaro. A ricordare il musicista che fu, senza lasciare tracce significative nella storia della musica, un’iscrizione che lo definisce pomposamente «Artefice di possenti armonie». La sua composizione più nota, probabilmente l’unica del suo non irresistibile repertorio, è Il canto degli italiani. Ovvero quello che è noto come Inno di Mameli. Rarissimo caso in cui l’autore dei versi ha sopravanzato quello dello spartito. Di «possenti armonie», nell’inno nazionale, a onor del vero non ve ne sono. Le concatenazioni degli accordi sono abbastanza banali e non vanno oltre la scontata attrazione tra la tonica e la dominante, manca pure lo slancio eroico della Marsigliese e non c’è traccia alcuna della solennità dell’inno tedesco. Insomma, non una grande vena ispirativa: né classica né romantica, la composizione di Novaro venne scritta di getto dopo aver letto i versi del diciannovenne Goffredo Mameli, che erano stati fatti vedere a Novaro dal pittore Ulisse Borzino in un incontro avvenuto nella casa dello scrittore Lorenzo Valerio.
I DIFETTI
Stando al racconto del patriota Anton Giulio Barrili, in quel 1847 in cui si covavano le scintille che avrebbero fatto esplodere mezza Europa l’anno seguente, Novaro si accese del sacro fuoco dell’arte improvvisando al cembalo un tema che poi riprese a casa sul pianoforte. Stando sempre a quel racconto, il musicista era davvero preso da una febbre creativa quasi incontrollabile mentre leggeva i versi e muoveva le mani sulla tastiera per adattare le note alle parole. E probabilmente è vero, considerati i difetti strutturali dello spartito, a partire dal levare ingannevole nella ritmica e dalle forzature delle parole per farle stare nella metrica musicale (Fra-te-el-li d’I-ta-lia).
Ci hanno provato in tanti a dare una veste nobile con l’orchestrazione, e pure a mutare la velocità di esecuzione, ma la creatura di Novaro resta quel che è. Meno impietoso il giudizio dei posteri sui versi di Goffredo Mameli, frutto comunque del tempo e soprattutto frutto dell’entusiasmo giovanile del patriota risorgimentale morto prematuramente per le conseguenze di una ferita nella difesa della Repubblica Romana nel 1849, entrando così nella storia italiana per il suo sacrificio e per il suo lascito ideale poetico. Il canto degli italiani, come tutti sanno, è stato inno nazionale provvisorio dal 1946, diventandolo ufficialmente solo il 30 dicembre 2017.
LA MARCIA REALE
Prima, dal 1861 al 1943, l’inno nazionale era la Marcia reale d’ordinanza dei Savoia, firmata nel 1831 da Giuseppe Gabetti, altro carneade delle sette note. Il Regno delle Due Sicilie di Francesco II, spodestato dal cugino Vittorio Emanuele di Savoia, almeno aveva un inno con i controfiocchi scritto da un musicista di rango come Giovanni Paisiello. Grandi e meno grandi hanno infatti firmato gli inni nazionali più o meno consapevolmente. Franz Joseph Haydn è autore dell’inno tedesco, già austriaco e lasciato “libero” con la caduta dell’Impero austro-ungarico nel 1918. Vienna corse ai ripari, si fa per dire, adottando una pagina di Wolfgang Amadé Mozart. Noblesse oblige. A Charles Gounod si deve la partitura dell’inno del Vaticano, altri Stati hanno scelto musicisti che in qualche modo incarnavano l’anima della nazione (Paesi baltici, Finlandia, Norvegia, Repubblica Ceca, Polonia). La Russia ha trovato in Aleksandr Alexandrov lo spirito dell’orgoglio di appartenenza sia in chiave sovietica sia dopo il rimescolamento dell’ex impero.
Anonimo ma di grande presa il Good save the King britannico, mentre la Spagna, che vanta un inno nazionale antico, fa a meno del testo e si affida alle sole note di Manuel de Espinosa. $ inglese, di John Stafford Smith, la musica dell’inno degli Stati Uniti, composto nel 1814 ma adottato solo nel 1931. Intrigante ma storicamente non dimostrata con certezza l’ipotesi che nelle vene della Marsigliese, che esalta la grandeur dei cugini d’oltr’alpe, scorra sangue italiano, derivando da un tema e variazioni di Giovan Battista Viotti: nel dubbio la paternità è tutta di Claude Joseph Rouget de Lisle. Nell’Italia di Verdi, Puccini, Rossini, Donizetti, patria della musica e del melodramma (il recitar cantando, il Bel canto), un barlume di gloria è andato a illuminare anche Michele Novaro, secondo tenore del Teatro di Genova e autore di pagine patriottiche ben presto cadute nel dimenticatoio. E infatti il Canto degli italiani è per tutti l’Inno di Mameli. $ un po’ come se “Norma” fosse l’opera di Felice Romani, che ne scrisse il testo, e non di Vincenzo Bellini, autore di pagine immortali conosciute e amate in tutto il mondo.