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Daniele Capezzone: Quanto servirebbe al centrodestra la lezione liberale di Martino

di Daniele Capezzone martedì 5 marzo 2024

4' di lettura

 Esattamente due anni fa, il 5 marzo 2022, ci lasciò Antonio Martino. Economista, già ministro della Difesa e degli Esteri, tessera numero due di Forza Italia, inventore delle parole d’ordine più efficaci nel 1994 berlusconiano, e in ultima analisi figura assai più rispettata che davvero ascoltata e compresa – purtroppo – nel centrodestra italiano. Non si tratta solo di commemorare un uomo straordinario, colto quanto spiritoso, signorile nei modi quanto granitico nei princìpi (nella politica italiana si tratta in genere di quattro capi di imputazione). Semmai, il punto è chiedersi se qualcuno, nel centrodestra di oggi, intenda darsi l’obiettivo di far rivivere la sua lezione. Quel trittico (“liberali-liberisti-libertari”) non è uno slogan, ma una precisa ispirazione, una bussola, un riferimento che sarebbe quanto mai prezioso (e non solo compatibile: questo è ovvio) rispetto all’evoluzione in senso conservatore della destra italiana. Di più: mentre gli oppositori del governo tendono regolarmente a sfidarlo nella direzione sbagliata (più tasse, più sussidi, più intervento pubblico, più ingerenza dello Stato), servirebbe che qualcuno – nella maggioranza – aiutasse il governo tirando la corda nella direzione opposta, o almeno orientando la discussione pubblica in questo senso.
Non è solo un problema italiano.

Se ci pensiamo, ovunque nel mondo (dall’Argentina di Javier Milei a vari casi di vittorie di segno culturale assai diverso a destra) cresce il disagio e il dissenso dei ceti medi verso le risposte politiche tradizionali o d’establishment. Si tratta di un magma confuso, segnato da elementi non univoci, e certo non facile da interpretare. Davanti a questo fatto politico e sociale, che si fa? Che sfida politica si sceglie? Si cerca di incanalare questa spinta in direzione liberalconservatrice, osi resta sul terreno della gestione dell’esistente e della protezione? In fondo, la domanda a cui rispondere è questa: sapendo che – alla fine della fiera – la sinistra è più attrezzata della destra a una competizione centrata sullo statalismo e sul dirigismo. Non varrebbe dunque la pena di scegliere un terreno di gioco differente? In questo senso, la cosa peggiore (spesso in buona fede, il che aggrava la gaffe) l’ha combinata chi ha parlato di “provocazioni” a proposito del pensiero di Martino. Ma quali “provocazioni”? La sua era una visione. Martino è stato infatti – a mio avviso – uno dei più importanti intellettuali italiani degli ultimi cinquant’anni, e per distacco l’intellettuale liberale più rilevante nel nostro Paese dagli anni Settanta in poi.


La compattezza, l’integrità e la profondità della sua visione sono impressionanti: diffidenza nei confronti del big government (e, a ben vedere, pure nei confronti del government); propensione, su tutto, all’allargamento della sfera della decisione privata e alla compressione di quella pubblica e collettiva; euroscetticismo in nome della libertà, contro il costruttivismo e il superstatalismo dell’Ue; capacità di tenere sempre insieme la libertà economica e la libertà senza aggettivi. Martino, oltre che liberale, amava definirsi liberista e libertario. Liberista: perché credeva nel mercato, nella competizione, in uno Stato non onnipresente, nella necessaria riduzione di ciò che la macchina pubblica ci estorce attraverso le tasse. Libertario: perché anche rispetto alla sfera personale e intima, rivendicava tutta intera la libertà personale, senza intromissioni pubbliche rispetto alla scelte di vita e di coscienza.
E tutte queste connotazioni non le declinava con furore ideologico, ma le applicava con passione alla concretezza dei problemi di commercianti, artigiani, partite Iva, lavoratori del privato, professionisti. Il suo stesso linguaggio era fatto per essere compreso: proprio come il suo maestro Milton Friedman, Martino era un comunicatore naturale, elegante, ricco di humour, che si dava costantemente l’obiettivo di essere compreso dal cento per cento dei suoi interlocutori, in primo luogo dalle persone più semplici. Non c’era spezzone di pubblico che non uscisse divertito e insieme arricchito da un intervento di Martino.


TENERE LA FIACCOLA ACCESA
Possibile che nell’attuale centrodestra italiano queste sensibilità, a mio avviso assai popolari e direi maggioritarie tra gli elettori anticomunisti, siano pressoché desertificate a livello di rappresentanza parlamentare e gruppi dirigenti? Anche nel dibattito mediatico, tra commentatori e persone che a vario titolo “fanno opinione”, è rarissimo trovare echi di un’ispirazione di questo tipo. Domanda: ma davvero qualcuno pensa che gli elettori siano appassionati ai destini di questo o quello spezzone “centrista” o vetero-democristiano? Davvero passeremo mesi a parlare di “centro” e di “moderati”? Non sarebbe più fresco, più creativo, più utile (anche rispetto ai due punti deboli del centrodestra, elettoralmente parlando: le grandi città e il voto giovanile) puntare su un messaggio di questo tipo? Si dice che il centrodestra abbia spesso usato in passato le parole di Martino senza però metterle in pratica. Ed è purtroppo tragicamente vero. Eppure, perfino in questa dolorosa constatazione, c’è una lezione positiva: quelle parole erano e sono vincenti, si sono dimostrate capaci di persuadere, di scaldare i cuori di un’ampia maggioranza sociale, di mobilitarla e motivarla. Poi, la mancanza di convinzione di un ceto politico spesso poco innamorato delle idee non ha saputo, potuto o voluto dar seguito a quell’impianto. Ma ciò non toglie che quella visione resti, e mantenga un’efficacia che consiglia di riproporla, di rilanciarla in ogni sede: politica, mediatica e culturale. Si può e si deve tentare ancora, nonostante tutto. Si può e si deve tentare – voglio dire – di sostenere che una potente riduzione di tasse sia necessaria; che lo stato dovrebbe dedicarsi a pochi compiti essenziali (direbbero gli anglosassoni: defense e garanzia per liberty e property), senza impicciarsi di tutto. Qui a Libero ci sforzeremo di tenere accesa questa fiaccola. 

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