CATEGORIE

Mario Sechi: Giorgia e il mestiere di unire le cose

di Mario Sechi martedì 12 marzo 2024

Giorgia Meloni

4' di lettura

La fatica di unire, il lavoro invisibile “per tenere insieme le cose” è la missione del politico, esaltare la diversità, far emergere i legittimi interessi e trovare i punti in comune tra le forze che aspirano al governo. È la fatica di Giorgia Meloni, il mestiere del presidente del Consiglio, capo del governo, leader di Fratelli d’Italia. Nel paese dei bianchi e neri, guelfi e ghibellini, dell’italiano diviso tra Coppie Bar tali, “tenere insieme le cose” a volte appare come una fatica di Sisifo, ma qualcuno questo lavoro deve farlo e oggi tocca a lei, la prima donna. Deve vincere e rassicurare, governare e condividere, attutire e attaccare. Dopo il voto in Sardegna - un importante test locale, il primo di una sequenza che culminerà con le elezioni europee all’inizio di giugno l’opposizione ha provato a imbastire la storia di una maggioranza in disarmo, in declino, alla vigilia addirittura della crisi di governo.

Un’operazione di propaganda sfascista che con la schiacciante vittoria del centrodestra in Abruzzo si è trasformata in un boomerang e ha rivelato la miope visione del Partito democratico e del Movimento Cinque Stelle. Elly Schlein e Giuseppe Conte si sono rivelati figure tragiche, senza visione e responsabilità, pifferai sull’orlo del burrone che predicano il tanto peggio tanto meglio, dimenticando l’interesse nazionale. La nostra politica interna è cambiata profondamente, è inseparabile dallo scenario internazionale, i fatti guizzano tra le stanze di un edificio di vertiginosa complessità, un labirinto di Escher. La strambata della pandemia è diventata un nuovo corso della storia con l’invasione dell’Ucraina e la materializzazione della guerra al confine orientale dell’Europa.

Una leadership si forgia nel ferro e fuoco, chiamata a guidare una grande nazione del G7 in tempo di guerra, Giorgia Meloni è testimone e protagonista dello “stato d’eccezione” in cui siamo piombati dal 2020, anno della pandemia. Nel giro di quattro anni, abbiamo visto il mondo fare un balzo nel passato e nel futuro, l’epidemia scoppiata a Wuhan, in Cina, alla fine del 2019, ha aperto un’era di de-globalizzazione; due anni dopo, il 24 febbraio del 2022, quando Vladimir Putin annuncia l’invasione dell’Ucraina, finisce la pace che regnava sulla nostra esistenza dal 1945.


In una dimensione che proietta le immagini dei campi di battaglia, mentre la macchina della guerra semina distruzione e lutto, l’economia italiana ha mostrato una vitalità che contraddice tutta la letteratura declinista che ha ammorbato il nostro racconto nazionale, fiaccato l’immaginario, diffuso una cultura sbagliata sulle nostre capacità di Paese trasformatore e esportatore. Contro il peggiorismo parlano i fatti: la fiducia degli investitori nel nostro debito pubblico è alta, gli italiani comprano i Btp, lo spread è a quota 130 punti e il Financial Times - pur evidenziando i rischi presenti nel 2024 e il boomerang del Superbonus sui conti pubblici per il futuro - mette nero su bianco che dal 2019, l’anno pre-pandemico, i nostri dati economici sono la prova “della migliore ripresa di tutte le principali economie europee, circa il doppio del ritmo registrato in Francia e nel Regno Unito nello stesso periodo. È anche molto più forte della crescita zero registrata in Germania”.


I cicli politici sono spartiacque, dividono il tempo in periodi che hanno i loro interpreti. Pensate a Alcide De Gasperi, in un periodo lungo dieci anni (dalla fondazione della Dc, nel 1943, agli anni al governo fino al 1953) quest’uomo mite e tenace ricostruì il Paese uscito sconfitto dalla guerra. È scolpita nei libri di storia la sua drammatica frase alla conferenza di pace di Parigi del 1946: «Prendo la parola in questo consesso mondiale e sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me». La storia gli consegnò il peso di ricomporre il mosaico dell’Italia in macerie per incastonarlo nello scenario occidentale, fu quello il suo “tenere insieme le cose”, la perenne eredità di De Gasperi. La storia politica è sempre scritta da figure che si muovono nella tragedia, è ascesa e declino, fasto e oblio, conquista e perdita. La gloria non è mai priva di dolore.

Il centrodestra è arrivato al governo nel periodo più difficile dal dopoguerra e ha fatto finora un gran lavoro di tenuta istituzionale, innovazione, coesione e coraggio. Giorgia Meloni, Antonio Tajani e Matteo Salvini sono personalità diverse, Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega sono partiti nati dalla tragica dissoluzione della Prima Repubblica, sono il prodotto di uno shock sistemico, sono una testimonianza e un’opportunità. Giorgia Meloni ha fondato un partito che in dieci anni è diventato un movimento popolare che sta mettendo le basi per una “rivoluzione conservatrice”; la Lega è il più “antico” tra i partiti in servizio, ha le sue radici nella “questione settentrionale” e pur negli alti e bassi di una storia eccezionale, il partito guidato da Matteo Salvini rappresenta un elemento di buon governo e pragmatismo nelle Regioni del Nord, cuore della manifattura, dell’innovazione e dell’export; Forza Italia- che molti pensavano all’epilogo dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi - ha trovato in Antonio Tajani l’esperienza di una “forza tranquilla”, capace di attrarre il voto dei centristi, dei liberali, di chi non si sente “di destra”, ma non starà mai a sinistra. Meloni ha il compito del “federatore” che deriva dal primato del consenso conquistato con Fratelli d’Italia e la sua leadership ha come fine il “tenere insieme le cose”. Le elezioni in Abruzzo erano cariche di attesa, ma l’Ohio è un luogo remoto, mentre vicinissima è la vasta pianura dell’Europa centrale, uno spazio aperto alla corsa della cavalleria corazzata. Alla vita di questa maggioranza sono legati altri destini ben più importanti, una missione assegnata dalla storia: respingere la tentazione della resa che s’aggira in un’Europa stanca della guerra che non ha memoria del tuono dei cannoni.

Meloni: "Trovo inaccettabile dire che i bersaglieri sono divisivi"

La scelta Giorgia Meloni: "Vado ma non ritiro la scheda": referendum, sinistra muta

Festa della Repubblica 2 giugno, Meloni: "Celebrare l’Italia è onorare chi ha dato la vita per difenderla"

tag

Ti potrebbero interessare

Meloni: "Trovo inaccettabile dire che i bersaglieri sono divisivi"

Giorgia Meloni: "Vado ma non ritiro la scheda": referendum, sinistra muta

2 giugno, Meloni: "Celebrare l’Italia è onorare chi ha dato la vita per difenderla"

Stefano Addeo: "Come ho scritto il post sulla figlia di Meloni", sconcertante

Marco Bassani: L'europeismo trasformato in un culto neo-marxista

Infuria la polemica su un documento che credo debba essere posto nella giusta luce. È vero che occorre contestual...
Marco Bassani

Patricelli: La verità nascosta dal Pci su chi uccise il Duce

Un cold case da ottanta anni nella ghiacciaia della storia, con un enigma avvolto da un mistero. In attesa che l’e...
Marco Patricelli

Calessi: Bertinotti e Fini, uniti dalla Lega ma separati sulla guerra

Il rosso e il nero a casa della Lega. Sono stati loro, Fausto Bertinotti e Gianfranco Fini, intervistati dal direttore d...
Elisa Calessi

De Leo, Salvini dopo la telefonata con Vance: "Frizioni? Siamo su scherzi a parte"

La telefonata con J. D. Vance e la contrarietà rispetto alle ipotesi di riarmo. Il vicepresidente del Consiglio M...
Pietro De Leo