Giorgia Meloni
La politica ha delle leggi non scritte che emergono plasticamente quando i protagonisti devono illustrare la logica delle loro azioni in Parlamento. Il discorso di Giorgia Meloni in Senato fa parte di questo modello di comunicazione: chiaro, dritto al punto, concreto. L’italiano che vuole capire qual è la linea di politica estera del governo (quindi della politica tout court, perché niente più è “interno”, tutto è “esterno” e drammaticamente vicino) ha lo scenario, quello che è stato fatto, quello che c’è da fare, il riferimento cardinale, lo spazio vitale dell’Italia, l’Occidente.
Il punto d’attacco del premier è la guerra in Ucraina, la presidenza del G7 e il multilateralismo che ha distinto l’Italia nel negoziato europeo; non ci sono livelli superiori e inferiori, Roma tratta i dossier con tutte le nazioni dell’Unione e questo rende il governo Meloni un interlocutore credibile, capace di sbloccare le crisi quando emergono veti (vedere il via libera dell’Ungheria ai 50 miliardi di aiuti all’Ucraina, il sì di Orban è arrivato dopo la mediazione di Meloni).
Mediazione che si traduce in pragmatica prudenza, la Russia è una potenza nucleare e fa leva sulla dottrina della deterrenza. Anche per questa ragione - a questo punto pare sottovalutata dalla Francia e dai consiglieri militari dell’Eliseo - quando il presidente Macron fa una fuga in avanti, ventilando l’invio di truppe Nato in Ucraina, il premier italiano dice no a un’idea «foriera di una escalation pericolosa». Di fronte al dadaismo strategico di Macron, Meloni ricorda che un conflitto con il Cremlino non si improvvisa, ma richiede fermezza e pazienza diplomatica (i pilastri della dottrina del containment di George F. Kennan).
La guida della nostra politica estera è «l’interesse nazionale» che non è una variabile dello scenario internazionale, ma un fattore plasmato dalla nostra storia scaturita dal dopoguerra (l’europeismo e l’atlantismo), dalla geografia (la nostra posizione al centro del Mediterraneo), dall’economia (aperta agli scambi, quella di una nazione del G7 trasformatrice e esportatrice), dalla demografia (abbiamo la popolazione più vecchia del mondo, insieme al Giappone e alla Germania) e dagli investimenti nella Difesa (insufficienti per le sfide della contemporaneità).
E la pace? Eccola, la parola magica che nei discorsi dell’opposizione diventa un’illusione disonesta che viene sventolata di fronte agli occhi degli ingenui. La pace è l’opera di ogni giorno - Meloni ha ricordato che non è gratis, «la libertà ha un costo»- significa aprire un negoziato, portare al tavolo la volontà di finire la guerra. Tutto questo oggi non è nelle intenzioni di Mosca che in realtà prepara un’altra offensiva di primavera -estate, un’avanzata sul fianco orientale dell’Europa. La pace arriverà quando i nemici, l’Ucraina e la Russia, saranno pronti a farla. E dopo il quinto mandato di Putin, non volano le colombe ma i falchi. Il premier ha ricordato come Mosca abbia violato tutti i trattati internazionali e invaso un paese sovrano - non a caso dopo la de-nuclearizzazione di Kiev (Memorandum di Budapest, 1994) che aveva la terza scorta di armi nucleari più grande del mondo - represso la dissidenza (fino alla morte di Alexei Navalny), e celebrato elezioni farsa. Si tratta con il nemico, quando si presenta al tavolo della pace e Putin in questo momento pensa di guadagnare terreno con i carri armati e la fanteria. Per queste ragioni l’Ucraina ha bisogno di un ombrello militare e non di una chimerica pace, quella che Conte e Schlein agitano senza avere una sola proposta concreta. Immaginate Elly e Giuseppe che si accomodano al tavolo chilometrico di Putin al Cremlino... Ecco, il vuoto retorico del centro-sinistra oscilla tra la commedia e il silenzio assordante.
Le guerre si sono intrecciate, l’Ucraina, l’assalto a Israele e il conflitto a Gaza, la minaccia al commercio mondiale sulle rotte del Mar Rosso, sono il frutto avvelenato della saldatura tra Russia, Cina e Iran, sono guerre “comunicanti”, fanno parte del medesimo disegno, Mosca è solo la punta più avanzata e visibile di un’offensiva che punta a scardinare l’ordine liberale. L’ultimo numero dell’Economist è chiaro sul punto, Vladimir Putin e il presidente iraniano Ebrahim Raisi si sono incontrati lo scorso dicembre al Cremlino per discutere della guerra a Gaza (appoggiata dall’Iran), Raisi è stato lestissimo nel complimentarsi per la “vittoria” di Putin nelle elezioni, entrambi hanno visitato la Cina di Xi Jinping che ha un patto “senza limiti” con Mosca e nel 2021 ha siglato un accordo da 400 miliardi di dollari con Teheran. I droni che uccidono gli ucraini sono iraniani, va ricordato alle anime belle del Parlamento italiano.
Piaccia o meno, a destra come a sinistra, Giorgia Meloni è l’unico leader in campo, la personalità che in questo momento “tiene la scena”, ha un sistema di relazioni internazionali coltivato e consolidato, una credibilità che questo centrosinistra non può avere, perché è anti-occidentale, pronto a sventolare bandiera bianca. Il suo leader surrealista, l’avvocato Giuseppe Conte vien dal nulla, ha brillato in tutte le cancellerie quando ha consigliato a Zelensky di non indossare la divisa, lo stratega pentastellato parlava mentre gli ucraini morivano sotto le bombe. Il Presidente del Consiglio francese Georges Clemenceau disse: «La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla ai generali». Anche agli avvocati del popolo.