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Sandro Iacometti: tassi alle stelle, l'economia strozzata dalla lotta contro Trump dei democratici

di Sandro Iacometti lunedì 25 marzo 2024

Donald Trump

3' di lettura

Tassi alle stelle per fare un dispetto a Donald Trump. È questo il sospetto che si sta insinuando tra gli operatori economici e finanziari, che da mesi, malgrado l’inflazione abbia complessivamente allentato la sua stretta, ancora non riescono ad intravedere la luce in fondo al tunnel. Anche nell’ultima riunione di qualche giorno fa la Federal Reserve ha deciso di lasciare i tassi di interesse al loro massimo storico da 22 anni, al 5,25-5,5%.

«I rischi sono più bilanciati che in passato», ha detto il presidente Jerome Powell nel corso della conferenza stampa, «ma l’inflazione di gennaio e febbraio in aumento mostra che il percorso disinflazionisitico non è lineare. Non reagiremo in modo eccessivo a questi dati in risalita, né li ignoreremo», ha concluso con quel fare da Sibilla cumana che ormai caratterizza le comunicazioni dei principali banchieri centrali. Dove tutto è lecito dire tranne che parole chiare che possano creare le giuste aspettative senza generare incertezza. Il mantra, seguito con devozione anche dalla nostra Christine Lagarde, è che «servono più dati». Il risultato è che la Fed sembra intenzionata (ma nulla è mai certo) a tagliare i tassi entro l’anno, ma non si sa quando. Un po’ come la nostra Bce, dove nell’ultimo direttivo si è deciso che se tutto, ma proprio tutto procederà come sta andando, non ci saranno sorprese e nessun meteorite si abbatterà sulla terra, forse, e solo forse, a giugno potrebbe arrivare la prima sforbiciata. Ma anche da quest’altra parte dell’Oceano, la presidente Lagarde ha premesso che prima di prendere qualsiasi decisione sarà necessario entrare in possesso di ulteriori dati.

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IL SEDERE DI POWELL - Raffinate analisi economiche, sofisticati modelli predittivi, simulazioni millimetriche dell’intelligenza artificiale? Può essere. Ma c’è anche chi ipotizza che dietro la lentezza con cui le Banche centrali stanno prendendo atto dell’inflazione che ormai lambisce il famoso target del 2% ci sia anche dell’altro. Tipo le poltrone e la politica.  Secondo il Centro studi di Unimpresa, infatti, «l'economia americana sta crescendo proprio grazie ai tassi alti e abbassarli ora potrebbe essere prematuro. I tassi caleranno solo se e quando potranno aumentare il consenso elettorale per i democratici e per Joe Biden, evitando quindi di favorire il candidato repubblicano Donald Trump».

E perché mai Powell dovrebbe schierarsi con uno dei due contendenti? È presto detto. «L'attuale presidente della Fed», spiegano da Unimpresa, «è molto criticato dai repubblicani e, se vincesse Trump verrebbe, sostituito immediatamente. Quindi di fatto Powell utilizza la politica monetaria anche per difendere la sua leadership: se, infatti, abbassasse i tassi darebbe ragione a Trump che lo ha sempre criticato e si esporrebbe a critiche durissime». In altre parole, rischierebbe il posto ancor prima delle elezioni.

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Beghe e meschinità americane di cui noi in Europa possiamo disinteressarci? Non proprio. Il problema è che dollaro ed euro viaggiano di pari passo anche se i fondamentali economici delle due aree restano profondamente diversi e che difficilmente la Bce si assumerà la responsabilità di impugnare per prima le forbici, come del resto è già successo nel caso dei rialzi per tamponare un’impennata dell’inflazione che entrambe le Banche centrali hanno visto in ritardo. Il primo rialzo dei tassi della Fed è arrivato nel marzo 2022, la Bce si è mossa soltanto a luglio dello stesso anno.

La sostanza è che il taglio dei tassi a giugno in Europa, con tutto quello che ne consegue in termini di costo dei prestiti, di liquidità alle imprese e di ripercussioni sul mercato immobiliare, è appeso al sedere di Powell. La decisione arriverà, sembra di capire, solo quando il presidente della Fed avrà la certezza di poter continuare ad adagiarlo sul suo trono, con il benestare di Joe Biden e dei suoi dem.

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