Grande è la confusione sotto il cielo, diceva Mao Tse Tung. Ma ancor più grande è la malafede. Il combinato disposto ha provocato ieri una pioggia di critiche verso Giorgia Meloni, accusata di raccontare montagne di balle mentre l’Italia va a ramengo. A far crollare il castello di carte, la grande bugia del «paese delle meraviglie» (Giuseppe Conte) sarebbe stato il rapporto dell’Istat su Reddito e risparmio delle famiglie. I numeri snocciolati dall’Istituto di statistica non sono di quelli che fanno venire voglia di stappare lo spumante, intendiamoci. Nel 2023 la propensione al risparmio è calata ai minimi storici, il potere d’acquisto è diminuito e le tasse sono aumentate. Così su due piedi verrebbe quasi voglia di dare ragione a grillini e piddini: un annodi schifo.
Se qualcuno, però, si fosse preso la briga di andare oltre le sintesi delle agenzie di stampa e di perdere qualche minuto a leggere il rapporto dell’Istat avrebbe scoperto che a pensar male, con buona pace di Giulio Andreotti, non sempre ci si azzecca. Già il commento stringato che accompagna il documento dà una versione un po’ diversa. Intanto nel quarto trimestre del 2023 «il potere d’acquisto delle famiglie, pur segnando una contrazione rispetto al trimestre precedente, registra la prima variazione tendenziale positiva dopo sette trimestri di flessione».
IL RECORD DELLA PANDEMIA
Ma allarghiamo un pochino l’orizzonte. Nell’intero anno appena trascorso i redditi sono aumentati del 4,7%. Il che non sembra proprio malaccio. Certo, l’inflazione ci ha messo lo zampino. E alla fine il potere d’acquisto complessivo è sceso dello 0,5%. Una sciagura? Non proprio, visto che a causa della stessa dinamica, nel 2022 (ricordate? l’epoca d’oro del governo Draghi) era andata peggio, con una flessione dell’1,8%. Il risultato è che si guarda la curva degli ultimi anni il livello è ben più alto di quello registrato nel 2022.
Ma arriviamo ai risparmi, che secondo le sinistre sarebbero stati prosciugati dall’austerity provocata dal governo raggiungendo uno dei livelli più bassi dall’inizio delle serie storiche. Altra sciagura? Ebbene, andiamo a guardare, sempre con l’ausilio dei grafici dell’Istat, cosa è successo nel 2020, anno orribile della pandemia. Toh, la curva della propensione al risparmio è ai massimi storici (15,6%), malgrado la cassa integrazione, le fabbriche chiuse, le serrande abbassate e gli italiani aggrappati ai sussidi pubblici per riuscire ad arrivare alla fine del mese. Quello che sfugge ai commentatori improvvisati, ma che gli economisti sanno bene, è che le persone non risparmiano quando hanno un sacco di soldi in tasca, ma quando hanno paura di quello che può accadere nel futuro. Si mette fieno in cascina per superare l’inverno, non perché se n’è prodotto in abbondanza.
SALGONO I CONSUMI
In altre parole, lanciare allarmi sul declino perché gli italiani risparmiano meno è come dire si stava meglio quando si stava peggio. Ma la realtà è che la propensione al risparmio ha iniziato a precipitare non appena superata la pandemia, nella fase del rimbalzo del pil e della ripartenza dell’economia. Paradossalmente, come dice l’Istat, nel quarto trimestre del 2023 «la propensione al risparmio aumenta sia rispetto al trimestre precedente sia rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente». Anche se sull’orizzonte temporale dell’intero anno l’indice scende al 6,3% rispetto al 7,8 del 2022.
Ma è comprensibile che mettersi ad aprire un rapporto dell’Istat non è cosa che gli stacanovisti della politica possono permettersi. Facendolo, avrebbero anche scoperto che nello stesso anno in cui i risparmi sono rimasti ai livelli più bassi, la spesa delle famiglie è invece cresciuta del 6,5%, mentre gli investimenti fissi lordi sono saliti del 3,3%. Due indicatori che mal si accompagnano ad un Paese in declino. E che vanno letti contestualmente a quelli contestati. «La dinamica più sostenuta della spesa per consumi finali delle famiglie (+6,5%, +74,6 miliardi di euro), rispetto al reddito disponibile», scrive infatti l’Istat, ha determinato nel 2023 una ulteriore riduzione della quota di reddito destinata al risparmio».
C’è poi un documento che le opposizioni non hanno voluto considerare neanche nelle sintesi brutali dei titoli delle agenzie di stampa, che è quello del Misery Index di Confcommercio. Ma qui si capisce bene il motivo. A febbraio 2024 l'indice di disagio sociale calcolato dall’associazione si è attestato a 12,8 (-0,3 punti su gennaio), che è, udite udite, il livello più basso da agosto 2009. Quanto alle tasse, infine, sì, il gettito dell’erario è aumentato. Fosse accaduto il contrario avrebbero senza pensarci due volte accusato il governo di aver favorito l’evasione.