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Specchia: Massini insultato a Torino da un pensionato. E la sinistra fabbrica una vittima del governo

di Francesco Specchia mercoledì 15 maggio 2024

Stefano Massini

4' di lettura

Le avvisaglie annunciano Apocalisse. La “Tendi -Fada” (scrivono i quotidiani inglesi) universitaria pro -Gaza; e gli attentati a scrittori famosi; e l’opinione pubblica manipolata come ai bei tempi dell’Ovra; e il Guardian che denuncia una «politica della democrazia illiberale». Dalle suddette avvisaglie si percepisce lo strano fenomeno- gli psicologi la chiamano sindrome di fantasia compulsiva - che in questi giorni ci insuffla la sensazione di vivere in una realtà parallela, anche se non siamo del Pd.

Procedendo ad un’affaticata rassegna stampa tra i principali quotidiani, tv, web e social oggi si profila un’unica cangiante narrazione. Nell’anno II° dell’era fascista georgiana, Giorgia Meloni in camicia bruna vestita come Ilsa la belva delle SS, si aggira per le strade della repubblica allo scopo di eliminare subdolamente gli avversari, silenziare le voci del dissenso, preparare il campo allo sterminio culturale. Siamo evidentemente al crepuscolo di Weimar. Ti distrai un attimo e ti ritrovi in Fatherland di Robert Harris. Eppure bastava osservare l’iperattività della fabbrica – anzi della fabbrichetta che produce martiri del regime a ritmo giapponese.

L’ultimo martire, per dire, è, inconsapevolmente, il bravo drammaturgo Stefano Massini. Mentre, al Salone del libro, presenta il Mein Kampf (giustappunto) Massini viene insultato e strattonato da un vecchio che sibila: «Hitler aveva ragione: voi comunisti riscrivete la storia. Ma ora finalmente possiamo dire la verità».

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L’anziano hitleriano «bofonchia, e costruisce un controcanto negazionista a bassa voce» scrive Repubblica. Massini – che ha la nostra piena solidarietà - è visibilmente preoccupato. Da lì scatta il commento del colonnello schleiniano Marco Furfaro, Pd, su Twitter: «La verità è che stanno sdoganando il peggio (Meloni e i suoi ministri in fez, ndr), ciò che nessuno aveva mai osato. La tolleranza verso i raduni nostalgici, la repressione del dissenso, il voler far passare la nostra storia come scritta da una parte. La verità è che c’è un partito di governo che candida gente che inneggia a Mussolini». La verità è anche che le Forze dell’ordine non sanno ancora se l’aggressore di Massini sia un membro del governo, un militante di Fratelli d’Italia o un vecchio fascio rincoglionito uscito dal baretto e preso dai fumi della sambuca (gli inquirenti propendono per questa ipotesi...).

Insomma. Doveva essere un sostegno a Massini, e diventa un accorato attacco al governo su cui si slancia l’ombra del sacrificio di Matteotti.
Dopodiché, ancora sull’aggressione al drammaturgo, arriva il podcast vibrante d’indignazione di Massimo Giannini. Che si profonde con voce teatrale: «Le parole sono importanti, chi le usa male, pensa male». E ha ragione, Massimo.

Infatti nel commentare la recente minaccia di morte a Liliana Segre aggiunge: «C’è un pezzo di Italia, di destra che non ama gli ebrei». Epperò omette che le minacce alla Segre e l’aumento degli antisemiti – dati del Viminale - provengono non da destra, ma dalla sinistra in kefiah che arriva ad appoggiare Hamas. Ma, in effetti, è giusto così. Alimenta il racconto littorio. Senza, Giannini non potrebbe continuare a proiettarci in quel campo di concentramento a cielo aperto che gl’italiani non hanno ancora capito di abitare. Uno non fa in tempo ad abituarsi al sottofondo del passo dell’oca che ti arrivano i ribelli.

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Zerocalcare ribadisce, tra una botta a Israele e l’altra, che «in questo mondo essere fascista non fa più effetto». Annalisa Cuzzocrea su La Stampa ribadisce che la censura fascista di Scurati in Rai ha fatto vendere a Scurati più libri epperò mette lo stesso in guardia: «Non vuol dire che siamo salvi dal restringimento del dialogo e del confronto che sta ammalando le nostre democrazie».

Non vuol dire. Gli eredi di Giolitti proibiscono la candidatura alle Europee per Fratelli d’Italia di Giovanna Giolitti (e la proibizione è – questa sì - molto fascista). Il solito Roberto Saviano, dopo aver ripudiato il best seller Gomorra, dà la solita pompatina all’ego: «Ecco la mia espressione quando per un attimo scavalco la diga della diffidenza e incontro sguardi». E qui il sottotesto sarebbe: questo regime fascista di solito mi spegneva il sorriso. Poi ti arriva Tonia Mastrobuoni, solitamente pacata corrispondente da Berlino – di Repubblica - la quale, al solo sentire «la Meloni ha vinto col 26%, piaccia o meno è una forza democratica», scatta, preoccupatissima: «Anche Hitler è stato votato con il 33%!». E lì mi preoccupo pure io. E mi sento precipitato tra la Gestapo vera e falsa di Vogliamo vivere di Ernst Lubitsch, a recitare al cielo il monologo di Shylock dell’ebreo Greenberg. Che oggi, per loro, sarebbe un nazista.

Poi mi sveglio dall’incubo dell’estrema lottizzazione della destra fascista al potere. Poi, qui, in riunione di redazione mi fanno notare che la destra, se ha applicato lo spoil system culturale, be’ l’ha fatto male.

Poi leggo Alessandro Giuli in Gramsci è vivo (Rizzoli, pp 160, euro 15) che fotografa la realtà molto meglio di me: «La destra al potere - si dice da parte sinistra - sta occupando le casematte della cultura con avidità chiodata (...) C’è del virtuosismo in questa accusa, e c’è un rigurgito di suprematismo antropologico». Sottoscrivo. Eja, eja, alalà ...

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