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Carmelo Claudio Pistillo: i popoli combattono le guerre ma a pagare è sempre l'uomo

di Carmelo Claudio Pistillo sabato 8 giugno 2024

4' di lettura

Guerra, solo la dannata guerra. Ecco la vita di Vasilij Grossman (1905- 1969), ecco la sua opera. Vita e letteratura sullo stesso confine, segnato dalla medesima visione del male, il cancro più purulento del Novecento, secolo trafitto mortalmente dal Nazismo, dal Comunismo e dall’unicità della Shoah, raccontato da Grossman in presa diretta senza quasi mai indulgere ad atteggiamenti vittimistici.

Scrittore fra i più noti del realismo socialista e d’immensa popolarità, Grossman non ha mai tradito la verità storica. In seguito alla sua opposizione al disumano regime staliniano, pagherà le conseguenze con l’esilio in patria, sospettato di attività antisovietiche e spiato fino alla morte. I suoi libri affondano le radici nella più alta tradizione russa e formano, tutti insieme, la testimonianza degli orrori procurati dal ripetersi di guerre dichiarate fra coloro che dovrebbero sentirsi se non fratelli, almeno complici nell’ammirare la bellezza delle vele gonfiate e spinte dal vento della libertà. Percorrere le sue pagine significa rivivere l’odissea e la via crucis di anime defraudate dal capitalismo della morte che ha lacerato il XX secolo.

Nella prima lettera ai Corinzi, Paolo si chiede “Dov’è, o morte, la tua vittoria?” Domanda senza risposta come una ferita che vuole rimanere aperta anche in questo terzo millennio, minacciato da armi definitive come quelle nucleari.

Adelphi, impegnata da anni nella pubblicazione delle opere di Grossman, porta in libreria la prima edizione italiana del romanzo Il popolo è immortale nella traduzione di Claudia Zonghetti e la postfazione di Robert Chandler e Julija Volochova (€ 20, pp. 285).

Il libro ricorda l’invasione dell’Unione Sovietica nelle prime ore del 22 giugno 1941 da parte di Hitler. Ed è il primo romanzo sovietico su quella guerra, che uscirà a puntate nell’agosto del 1942, accolto dal favore del pubblico. Insieme ai monumentali Vita e destino e Stalingrado, Il popolo è immortale completa una drammatica e irripetibile trilogia sulla guerra. Senza dimenticare le rivelazioni che Grossman fece denunciando nel 1944, con L’inferno di Treblinka, la più terribile fabbrica della morte nazista. O Ucraina senza ebrei, lo straziante documento sulle atrocità commesse in Ucraina nel 1943 dai tedeschi dopo due anni di occupazione e crimini non propriamente traducibili con la lingua degli esseri umani: un milione di ebrei tolti dalla faccia della terra in pochi mesi, un intero popolo sterminato e senza più nome. Per non dire dei bellissimi racconti di Il bene sia con voi, in cui spicca, ne La strada, la reazione del mulo Giu durante la spedizione italiana in Russia del 1941, mentre vanno consumandosi le mostruosità di un mondo in cui Treblinka e il Gulag si contendono la corona di sangue senza risparmio di ferocia. Uno scenario di morte che è più di una metafora. La vita del mulo non conta più nulla. Si sente annullato dall’indifferenza di quella pianura di guerra percorsa stancamente.

Il popolo è immortale ci racconta i primi mesi di quell’invasione tedesca, antefatto storico di Stalingrado e Vita e destino. I tedeschi sono convinti di ridurre in schiavitù in 70 giorni l’Ucraina, la Bielorussia e la grande Russia, dopo aver sconfitto la Danimarca in mezza giornata, la Polonia in 17 giorni, la Francia in 35, la Grecia in 8 e l’Olanda in 5. Ignorano la natura granitica delle forze fisiche e psicologiche del popolo russo, di cui si saprà solo dopo della chiusura assoluta delle loro frontiere per mantenere segrete le loro fosse e i gulag.

Nel romanzo di Grossman, pur infondendo coraggio ed elogiando qua e là lo spirito e l’orgoglio russo, non vengono lesinati giudizi critici sulla gestione di un conflitto mai visto prima, conseguenza dell’incompetente leadership sovietica al comando davanti al più forte esercito tedesco. Il romanzo descrive la quotidianità dei soldati colti nelle diverse situazioni di guerra come quella dello stato maggiore infrattato per sicurezza nel bosco. Personaggio centrale è il filosofo marxista Bogarëv, nominato commissario di battaglione, una sorta di alter ego dell’autore che ha bisogno di leggere come mangiare e bere, e che, pur di soddisfare questo desiderio, sfrutta persino la notte di luce causata da un incendio. Ma nello stesso tempo si chiede «Che cosa me ne faccio, ora, della mia vecchia vita, del mio lavoro ostinato e prezioso, di gioie e delusioni, dei miei pensieri, delle pagine che ho scritto?» Mentre i tedeschi avanzano spalla a spalla, senza rispondere al fuoco nonostante le perdite, gli artiglieri giorgiani, tatari, ebrei ucraini si coordinano uniti da una fratellanza di sforzi per fondersi in un solo uomo. C’è un respiro epico che attraversa queste magnifiche e mai retoriche pagine di Grossman.

Figure indimenticabili come quella di Samarin, o dell’autista con in tasca il David Copperfield dickensiano, o quella del bibliotecario Minsk, che impazzisce quando vede i nazisti comportarsi da selvaggi illetterati, spargere la benzina per dare fuoco ai volumi dell’accademia bielorussa. Per i russi la regola è vincere e vittoria sarà, perché non è dei tedeschi che bisogna avere paura ma della propria inaffidabilità. Sigillo narrativo di questo racconto della realtà è l’emblematico e struggente finale quando Bogarëv e il soldato Ignat’ev escono insanguinati dalle fiamme ormai domate, reggendosi l’uno all’altro. «Il loro sangue, sangue di fratelli legati per la vita e per la morte, gocciolava a terra e si mescolava».

Tuttavia, poco dopo la fine della guerra, Grossman non esiterà a scrivere che «Il popolo è immortale, la sua causa è immortale. Ma non si può risarcire la perdita di un uomo». 

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