Se un tempo i bambini correvano nel lettone dei propri genitori spaventati dopo aver fatto un incubo su qualche mostro a tre teste o su una strega malefica, ora a spaventarli è il cambiamento climatico. Il 95% dei bambini e delle bambine si dice preoccupato per il futuro dell’ambiente. Ma non solo: più di uno su 3 (40%) riferisce di aver fatto un brutto sogno sul cambiamento climatico o sull’ambiente in pericolo e di aver fatto fatica a dormire o mangiare a causa di questo pensiero. È quanto emerge dai risultati di un recente studio italiano, unico nel panorama scientifico internazionale, nato nel contesto del progetto educativo di Scuolattiva Onlus “A Scuola di Acqua” sostenuto da nove anni dal Gruppo Sanpellegrino e dedicato alla sensibilizzazione dei più giovani sui temi dell’idratazione e della sostenibilità ambientale. La ricerca ha coinvolto un campione di circa 1000 bambini tra i 5 e gli 11 anni e nonostante la preoccupazione per il cambiamento climatico il 78% di loro si dice strettamente legato all’ambiente e alla natura.
Alla luce di quanto emerso, sorge spontaneo domandarsi come sia possibile che un bambino di soli 5 anni sappia cosa sia il cambiamento climatico. A quell’età un bambino dovrebbe preoccuparsi di scegliere a cosa giocare, non a come salvare il pianeta. Dalla ricerca è emerso, infatti, che la paura provata dai più piccoli non è necessariamente correlata a esperienze di vita realmente vissute, ma piuttosto è frutto della comunicazione e informazione sui temi del cambiamento climatico, che influenzano la percezione del problema da parte loro. Insomma, l’allarmismo a cui stiamo assistendo sul tema crea conseguenze come queste: conoscere le conseguenze dei cambiamenti climatici attraverso i media può influenzare la salute mentale. Un altro dato su cui riflettere è che il 95.6%, quasi la totalità del campione si percepisce infatti direttamente responsabile della situazione e pensa che il proprio contributo possa fare la differenza (97.2%). Non solo, agli occhi dei bambini, la soluzione sta nella partecipazione di tutti: anche gli adulti, nei quali è riposta la fiducia del 72% dei più piccoli, devono contribuire attivamente alla salute del Pianeta. «Assistere alle conseguenze del cambiamento climatico può generare sofferenza e preoccupazioni per il futuro, insieme a senso di impotenza e frustrazione per l’incapacità di arrestare questo fenomeno o di fare la differenza», sottolinea la professoressa Serena Barello, direttrice del laboratorio di Psicologia della Salute del Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento dell’Università di Pavia coordinatore scientifico dello studio. Per questo diventa sempre più necessario «investire su iniziative formative e di sensibilizzazione che favoriscano l’empowerment dei cittadini e, soprattutto delle nuove generazioni, in merito al valore dei comportamenti di ciascuno di noi nel contrasto agli effetti del cambiamento climatico».
Ciò può proteggere le persone «dall’esperienza di eco-ansia, che non è ovviamente una patologia ma rappresenta tuttavia un fattore di rischio per disturbi della salute mentale». Per la professoressa Barello «è infatti un fattore di stress che può spingere gli individui a reagire all’ansia cambiando non solo il loro comportamento quotidiano, ma anche la loro prospettiva sul mondo e le aspettative per il futuro». Sul tema nei giorni scorsi è intervenuto anche il ministro dell’ambiente Pichetto Fratin per cui la cura dell’ambiente «non è qualcosa di astratto, ma è attenzione proprio alle persone e al nostro legame indissolubile con la natura. I tempi difficili e complessi che viviamo inducono incertezze che, specie nei giovani, possono alimentare quel senso d’ansia di cui tanto si è parlato nei mesi scorsi».