La storia infinita. Così potrebbe intitolarsi questo articolo perché la vicenda che ha coinvolto l’ex senatore della Lega Armando Siri, responsabile della scuola di formazione del partito, ripete uno schema a cui ci siamo abituati, e purtroppo in molti di noi anche assuefatti. Prima ci sono delle inchieste mal impostate, anzi impostate ideologicamente; quindi, in barba ad ogni principio liberale di non colpevolezza, c’è il politico di turno crocifisso dalla stampa, dai politici avversari e dagli stessi magistrati, non certo parchi nel concedere interviste come il ruolo vorrebbe (quasi sempre i “colpevoli” sono di destra o “non allineati”, ca va sans dire); infine, dopo un notevole lasso di tempo, c’è l’archiviazione perché il fatto semplicemente “non sussiste”. La procura di Milano, a due anni dalla chiusura delle indagini e a cinque anni dai fatti, ha chiesto ieri l’archiviazione per Siri con formula piena per i due episodi di finanziamento illecito e uno di dichiarazione infedele che gli venivano contestati. Al senatore erano stati infatti concessi dei prestiti nel 2019 per un totale di circa 1,3 milioni di euro dalla Bac, la Banca commerciale agricola di San Marino, uno dei quali sarebbe servito per comprare una palazzina di Bresso e l’altro sarebbe stato girato ad una sua società. Un altro prestito, di circa 220mila euro, era poi servito a Siri per estinguere un debito con l’Agenzia delle Entrate. Normali attività finanziarie di un normale cittadino, come si è visto costretto dai fatti ad ammettere il giudice che ha emesso la sentenza di assoluzione, il pm Nicola Rossato. I finanziamenti, egli ha detto, sono risultati «del tutto scollegati all’attività politica», e cioè «concessi» e «sfruttati» da Siri «per scopi esclusivamente personali».
In sostanza, le indagini hanno appurato che i finanziamenti contestati a Siri non solo non erano illeciti, ma erano normali prestiti bancari concessi da una banca ad un privato cittadino. La notizia, sparata quando partì l’indagine a tutta pagina, verrà a questo punto, come il canovaccio sperimentato esige, quasi ignorata dai media, che strumentalmente ragionano così: a chi vuoi che possa interessare l’esito positivo di un procedimento per un imputato già abbondantemente “mostrificato”? Buon profeta sarà perciò, purtroppo, anche questa volta Matteo Salvini, che, dopo aver dato ieri la notizia dell’archiviazione, ha commentato sconsolato: «Domani non leggerete nulla sui giornali». Il segretario della Lega, che interveniva alla presentazione romana del volume Il verminaio scritto da Brunella Bolloli e Rita Cavallaro, è stato il primo a rendere pubblicala vicenda, ponendosi, come tutti noi, non poche domande. Perché si è dimostrata ancora una volta tanta superficialità e si è data in pasto ai giornali una notizia ancora tutta da verificare, anzi falsa? Perché si sono dovuti attendere cinque anni dall’imputazione e due dalla chiusura dell’inchiesta per scagionare l’eminente uomo politico? Sarebbe tutto farsesco, se non fosse anche tragico: tragico per la vita personale di chi è indagato, tragico per la sua carriera politica, tragico per la stesso gioco democratico che ne esce falsato. Anche perché, nel caso di Siri, non si era esitato a costruire fantasiosi teoremi. Quegli stessi teoremi, ha ricordato Salvini, che hanno fatto preparare con zelo dossier altrettanto e più fantasiosi su altri esponenti della Lega, chiamando in causa persino la ’ndrangheta o i clan di Latina senza che non un riscontro nella realtà fosse possibile rintracciare. Senza dimenticare il “filone fantasy della Russia”, dove si sono associati alcuni viaggi di esponenti leghisti a Mosca, comuni fra l’altro fino a qualche anno fa a politici italiani di ogni colore, a finanziamenti occulti che, addirittura, sarebbero la spiegazione della sensibilità “pacifista” che la Lega mostrerebbe nel governo su ordine di Mosca (sic!). Dimenticando che il partito di Salvini ha sempre votato in Parlamento a favore di tutti gli stanziamenti per dotare il legittimo governo dell’Ucraina di armi per difendere il proprio territorio dall’aggressione russa.
Anche se i giornali non ne parleranno, il caso Siri merita molta attenzione. In un periodo in cui si sta mettendo mano con un certo successo alle regole che hanno governato la nostra democrazia, per farla meglio funzionare e renderla veramente tale, difendere lo status quo nel campo della giustizia sarebbe non solo errato ma moralmente colpevole e lesivo dell’interesse democratico. Nonché dell’interesse degli stessi magistrati, sia inquirenti che giudicanti, che per la più parte sono persone oneste sopraffatte, come il normale cittadino, dalla prepotenza dei pochi che concepiscono la giustizia come un mezzo per continuare la politica, poco importa se a discapito della vita e della libertà degli altri. Che la storia infinita abbia finalmente un termine!