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Mario Sechi: la storica vittoria di Elly a Campobasso

di Mario Sechi martedì 25 giugno 2024

3' di lettura

Il voto amministrativo è sempre la storia singolare di ogni Comune, ma la sinistra dice che «il vento è cambiato». Elly Schlein ha detto che si tratta di una «vittoria storica per il Pd e il campo progressista»; Paolo Gentiloni ha elencato il voto a «Firenze, Bari, Perugia, Potenza, Campobasso» e affermato che «l’aria delle città rende liberi». La segretaria del Pd è in piena fase iperbolica, mentre l’attuale Commissario Ue all’Economia ha appeso la giacca dell’istituzione per vestire i panni del «descamisado» di parte e di partito. Nessuna sorpresa, la storia della sinistra è un festival di utopia e illusione, quando non sfocia in tragedia, è pura commedia.


Non c’è niente di «storico» in questo turno elettorale, il quadro politico non è cambiato, vincere in sei città capoluogo di Regione non è un’inversione di rotta, è solo la conferma di uno scenario metropolitano da tempo più favorevole ai progressisti quando si scelgono i sindaci, un consenso che finora non si trasmette a livello nazionale. Quando gli elettori sono chiamati a dare una valutazione generale sugli schieramenti (politiche del 2022 e europee del 2024), la destra vince e la sinistra perde. Si è votato per Bruxelles l’8 e 9 giugno, i trend non cambiano in due settimane, la lettura del Pd è un esercizio di propaganda, non un’analisi politica. Con buona pace di Schlein e Gentiloni l’Italia non è un conglomerato metropolitano, un mosaico di Ztl, ma un Paese multiforme dove la provincia gioca un ruolo decisivo sul piano sociale, economico e politico. Contrapporre la città alla campagna significa separare il Paese in buoni e cattivi, dove i primi sono i colti e liberi metropolitani e i secondi sono i «deplorables», i miserabili delle zone rurali e interne. Che sia il Pd a proporre questa rozza lettura non è una sorpresa, il fu partito operaio si sente intimamente espressione dell’aristocrazia.


In estasi nel raccontare la vittoria degli urbanizzati contro i bifolchi, la sinistra che annuncia la «remuntada» presto si renderà conto che la strada è lunga e vale il detto di Giulio Andreotti: il potere logora chi non ce l’ha. Quanto alla destra, il vantaggio di avere le leve del potere si annulla- e può diventare perfino un problema- quando il ciclo economico diventa meno favorevole. Il rischio geopolitico resta alto, dunque il consenso va costruito non solo con l’azione di Palazzo Chigi e l’aggiornamento del programma in un costante lavoro di ricalibratura delle scelte politiche rispetto allo scenario internazionale e all’impatto che avrà sul Paese, ma anche lavorando «sotto», a livello dei partiti, aprendo e non chiudendo all’apporto di persone e idee nuove, selezionano candidati più forti e inclusivi per guidare le Regioni e i Comuni. È un problema antico della destra che si presenta ciclicamente e va affrontato, perché se è vero che il ruolo di Giorgia Meloni è fondamentale nelle campagne elettorali, è altrettanto vero che in un quadro che tende al bipolarismo la sua leadership va accompagnata sul territorio da una selezione attenta della classe dirigente e da un lavoro corale con gli alleati. L’esempio del voto a Bari è un memento: la destra aveva tutte le condizioni per essere competitiva (nel capoluogo pugliese Emiliano e Decaro erano in grande difficoltà) ma la sinistra guidata da Vito Leccese (il più stretto collaboratore del sindaco uscente) ha vinto il ballottaggio con il 70% dei voti. Troppi per essere solo frutto del destino cinico e baro, significa che si è fatta una lettura errata dello scenario.


Il calendario non dà tregua, bisogna metterci la testa. A settembre si vota in Umbria (e a Perugia la destra ha perso il sindaco, un flash da tenere bene a mente), presto sapremo quando toccherà agli elettori dell’Emilia Romagna (Bonaccini va al Parlamento europeo), l’anno prossimo sarà il turno di Regioni importanti come Veneto, Campania e Puglia. La sinistra cercherà di costruire un fronte unico contro la destra, farà leva sul voto locale per sferrare un’offensiva nazionale con il referendum sul premierato (vedremo quale escamotage useranno per contrastare l’Autonomia differenziata), continuerà a agitare la piazza, l’elemento necessario per catalizzare l’attenzione. È la strategia movimentista e extraparlamentare di Elly Schlein e non va presa sottogamba dalla maggioranza. È una partita a scacchi lunghissima, vince prima di tutto chi dura e non sottovaluta l’avversario. È chiaro che quando c’è da votare «Giorgia» lo schema di gioco cambia, ma bisogna attrezzarsi per non perdere le battaglie, sarà più facile vincere la guerra.

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