«L’Italia è uno dei nostri alleati più importanti nel raggiungimento dei nostri obiettivi nel campo della migrazione e della competitività», scrive sul web Viktor Orbán al termine del confronto a palazzo Chigi con Giorgia Meloni. Poco dopo, accanto a lui, la premier italiana tira le somme del colloquio: dice che le relazioni tra Roma e Budapest sono «eccellenti» e che l’Ungheria «è per noi un prezioso alleato anche in ambito Nato».
Non è un idillio, però. I due possono essere definiti amici nella franchezza (tanta franchezza) e giovedì e venerdì, al Consiglio europeo in programma a Bruxelles, faranno fronte contro le pretese di Emmanuel Macron e Olaf Scholz, che vogliono tenere fuori dai giochi tutte le forze europee a destra del Ppe. Su immigrazione, ideologia “green”, allargamento dell’Unione agli Stati dei Balcani occidentali e altri temi, Meloni e Orbán la pensano allo stesso modo. E vogliono spostare a destra la direzione della Ue. Ma le differenze tra loro ci sono e non le nascondono.
La più grande la sottolinea la presidente del consiglio, la prima dei due a parlare davanti alle telecamere: «Abbiamo discusso del conflitto ucraino. Sappiamo molto bene che le nostre posizioni non sono sempre coincidenti, e proprio per questo apprezzo molto la posizione che l’Ungheria ha mostrato sinora sia in ambito Ue che Nato, consentendo agli altri Stati e agli alleati di assumere decisioni importanti anche quando non era completamente d’accordo». Un modo morbido per sottolineare la distanza.
Orbán evidenzia un’altra divergenza: «Oggi non abbiamo parlato di partito, perché abbiamo chiuso la discussione lunedì a Bruxelles». Il «partito» è la famiglia dei Conservatori europei, Ecr, presieduta da Meloni. «Ho reso chiaro», racconta il leader magiaro, «che noi seguiamo i nostri interessi nazionali, e non possiamo far parte di una famiglia in cui c’è un partito romeno anti-ungherese», ossia Aur, al quale Fdi ha appena aperto le porte. Ognuno per conto proprio, insomma. «Nonostante questo», prosegue, «ci impegniamo alla cooperazione e al rafforzamento della collaborazione trai partiti di destra europei, senza far parte della stessa fazione».
C’è un’altra cosa importante che differenzia i due. A Bruxelles, Orbán si schiera nettamente all’opposizione. «Non possiamo accettare», dice, «che in Europa si creino una maggioranza e un’opposizione e che una coalizione di tre partiti», ossia Popolari, Socialisti e Renew Europe, «si divida i “top jobs”», gli incarichi più importanti. Meloni, su questo, è molto più cauta. Ha un buon rapporto con Ursula von der Leyen, basato sulla reciproca convenienza, e sosterrà la sua conferma alla guida della Commissione se l’Italia avrà ciò che chiede, ossia un commissario Ue con una delega importante che sia anche vicepresidente (il candidato naturale, Raffaele Fitto, ieri non ha risposto alla domanda dei giornalisti sul suo possibile trasloco a Bruxelles).
IL SEMESTRE UNGHERESE
Il resto è zucchero e miele, ma già si sapeva. Dal primo luglio Orbán sarà presidente di turno della Ue e il suo programma coincide in larghissima parte con quello di Meloni. «C’è una perfetta sintonia fra Italia e Ungheria sull’allargamento della Ue ai Balcani occidentali, che mi piace definire “riunificazione”», sorride l’italiana. Idem sulle migrazioni illegali. «Voi», dice Orbán guardandola, «siete più vicini all’Africa di noi, ma i migranti arrivano anche da noi. Senza un progetto di sviluppo per l’Africa ci sarà una migrazione di massa che non potremo gestire». Per questo, assicura, Budapest appoggerà «tutto ciò che la premier ha proposto».
Meloni apprezza molto anche la decisione ungherese di inserire la questione della denatalità fra le priorità del semestre europeo: «Non era scontata. La demografia è una delle precondizioni per costruire una Europa forte». Pure sull’industria e l’ecologia gli obiettivi sono gli stessi: la «transizione “green”», avverte Orbán, deve essere «collaborativa e non agire contro l’economia europea». C’è spazio pure per una collaborazione in campo energetico: è in programma un collegamento diretto per trasportare il gas liquido tra i due Paesi, grazie alla collaborazione della Slovenia.
Gli avversari in comune sono un altro ottimo motivo per fare squadra. Il primo ministro ungherese è reduce da un vertice non proprio caloroso a Berlino col cancelliere Scholz e domani sarà a Parigi da Macron. E il semestre ungherese di presidenza della Ue cade nel momento peggiore per il tedesco e il francese, impegnati a puntellare lo status quo dopo il terremoto elettorale. Il voto ha ridotto i margini della “coalizione Ursula”, che rischia di non reggere alla prova dello scrutinio segreto con cui l’europarlamento dovrà votare il futuro presidente della Commissione. Le elezioni legislative francesi, convocate da Macron dopo la batosta subita dal suo partito, promettono di indebolire ulteriormente la sua posizione.
Il tempo gioca quindi contro Macron e Scholz, che infatti hanno una gran fretta. Se il Consiglio Ue di questa settimana non troverà l’intesa sulle nomine, tutto sarà rimandato a dopo le elezioni francesi, i cui ballottaggi sono previsti domenica 7 luglio. Ma al termine di quella giornata la Francia sarà molto diversa. E Orbán e Meloni potrebbero avere molto da guadagnarci.