Già ministro degli Esteri, presidente del Consiglio e commissario europeo, in ordine rigorosamente cronologico che serve anche a volergli attribuire una certa competenza quando lo si sente parlare o lo si legge occupandosi della politica estera italiana, Paolo Gentiloni ha scritto un curioso articolo su questo argomento. Curioso e neppure improvvisato nella cornice verde assegnatagli da Repubblica per sottolinearne anche graficamente, almeno a noi del mestiere, l’aggiornamento eseguito dall’autore fra la prima e l’ultima edizione. Magari, nel nostro caso, dopo avere assistito, con l’altro ex eccellente che è Romano Prodi, alla cerimonia di intronizzazione di Papa Leone XIV ed essersi informato della successiva attività di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi.
«La debolezza sul palcoscenico internazionale» è il titolo assegnato al commento di Gentiloni, dove tuttavia la debolezza, appunto, è solo un “rischio” che correrebbe la presidente del Consiglio dopo che, pur ignorata o sottovalutata o fraintesa dalla segretaria del Pd Elly Schlein, cui lo stesso Gentiloni appartiene, «la postura di politica estera fin qui era stata un suo punto di forza, capace di rassicurare il tradizionale sistema di alleanze del nostro Paese».
Ora invece, sempre secondo Gentiloni, sorpreso, contrariato e quant’altro dalle distanze non prese ma ribadite dalla Meloni rispetto alla tentazione, quanto meno, dei cosiddetti “volenterosi” d’Europa di inviare truppe in Ucraina anche senza una copertura dell’Onu, «il governo farebbe bene a dichiarare la nostra chiara volontà di contribuire all’impegno comune per l’Ucraina nelle sedi più adeguate». Anche perché «in ballo, oltre al nostro interesse nazionale, c’è il profilo geopolitico dell’Europa che verrà», ha avvertito il pluri-ex.
Quale possa o debba essere «l’impegno comune per l’Ucraina» e in quali «sedi più adeguate» è rimasto tuttavia nella penna o nel computer di Gentiloni, prima e dopo l’aggiornamento della ribattuta di Repubblica. E non è un inconveniente da poco per un uomo dell’esperienza dell’ex premier e tutto il resto. O è la furbata, chiamiamola così, del Gentiloni raccontato nelle cronache e nei retroscena dei giornali come un possibile successore della Schlein alla segreteria del Pd, se e quando verrà il momento di sostituirla. In certe corse, si sa, specie in un partito complesso, a dir poco, come quello al Nazareno, che ha preso il meglio o il peggio, come preferite, della sinistra democristiana e del Pci; in certe corse, dicevo, la chiarezza o compiutezza delle analisi e delle prospettive politiche non è un obbligo.
Ecco, l’intervento di Gentiloni su Repubblica mi è apparso personalmente funzionale più al congresso sotterraneo e continuo che si sta svolgendo nel Pd, anche a livello referendario, da quando l’autorevole ex senatore e capogruppo Luigi Zanda ne ha chiesto inutilmente uno palese e anticipato, che ad una comprensione di ciò che sta accadendo non solo in Italia, non solo in Europa ma nel mondo. Anche con l’elezione dello statunitense Robert Francis Prevost a Papa. Nel suo racconto del “rischio” di una “debolezza” della Meloni in politica estera, dopo la “forza” riconosciutale nei primi due anni e mezzo di governo, Gentiloni ha anche sospettato che l’assenza della premier italiana dal recente vertice albanese dei “volenterosi” d’Europa non sia stata voluta ma imposta col rifiuto di invitarla per inaffidabilità.
Ma, chiarito bene o male l’equivoco su una permanente disponibilità di Francia, Germania, Gran Bretagna, Polonia, in ordine alfabetico, di mandare truppe in Ucraina anche senza un mandato dell’Onu, improbabile col veto di cui dispone Mosca, mi chiedo perché debba essere il governo italiano a cambiare posizione, chiarire e via dicendo e non invece la presunta controparte in questo che ormai non è più un racconto. E non so neppure cos’altro, se non si vuole scendere al livello del turpiloquio.