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Pietro Senaldi: il campo largo degli anti-Giorgia piace solo agli elettori Pd. Gli altri? Tutti in fuga

di Pietro Senaldi martedì 24 settembre 2024

4' di lettura

L’obiettivo è comune e dichiarato: una santa alleanza degli anti che unisca tutti con l’obiettivo di sconfiggere le destre. Il portabandiera è Elly Schlein, segretaria del Pd, ma anche nel suo partito non tutti sono convinti che sia lei il profilo adatto per reggere il timone, quando mai la meta dovesse essere raggiunta. E questo è il primo problema, l’inadeguatezza del capo, e del suo stretto giro di collaboratori, nonché la sua imprevedibilità visto che, se è difficile vederla arrivare, è ancora più arduo prevedere dove voglia andare, come e con chi di preciso. Però su questo si può tergiversare ancora. Lei si professa ogni giorno «testardamente unitaria» e questo è un ombrello che consente a tutti per il momento di giocare per se stessi.

Questa santa alleanza è chiamata campo largo delle sinistre; e qui nasce già il secondo problema. Per vincere infatti, la sinistra non basta. Serve il centro, Renzi e Calenda per intendersi, che però fanno venire l’allergia a buona parte degli elettori di sinistra. L’obiettivo del potere può aiutare a turarsi il naso, ma l’apnea è stato temporaneo, specie considerati i caratteri dei componenti dell’accoppiata, duri a tollerarsi non solo reciprocamente. Poi ci sono i grillini, che Giuseppe Conte sta trasformando in un partito sempre più di sinistra, la qual cosa non va bene a tutti, tanto che quello della scissione è un tema di eterno ritorno.

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Più che una costola dei dem poi i seguaci dell’avvocato del popolo sono una lama conficcata nelle reni. Esistono se rompono il quadro e non hanno tradizione di governo con il Pd, con cui sono stati insieme solo se costretti. L’ex premier non si riconosce secondo a nessuno, nemmeno al fondatore Grillo, figurarsi a Elly, e gli elettori – chiedere a Luigi Di Maio - non gradiscono intese a tavolino. Per di più il Movimento rimarrà tutto il mese di ottobre prigioniero della guerra tra Giuseppi e Beppe, che si scannano su soldi, nome e simbolo, nel disamore dei loro elettori, vedovi del reddito di cittadinanza e interessati a bonus, prebende e manette, insomma ai contenuti storici dei pentastellati.

Servirebbe un programma, fa notare Romano Prodi, il solo al quale è riuscita l’impresa di unire il cartello elettorale delle sinistre, che poi lo ha destituito per due volte in poco tempo. Il professore nei giorni pari è ispirato e dà suggerimenti, ci crede; in quelli dispari è realista, scuote il capoccione e riconosce che la maggioranza di centrodestra è compatta, mentre il centrosinistra neppure esiste. Il programma poi va riempito di contenuti e qui, alle divisioni dovute a personalismi e vecchi rancori, che attraversano tutto il campo, da Renzi a Conte, da Calenda a Fratoianni, si è costretti a restare molto sul generico: la pace è meglio della guerra, sarebbe bello se tutti guadagnassero di più, investiamo sulla sanità. In calo le quotazioni sull’allarme fascismo, al quale ormai credono solo Ilaria Salis e Tommaso Montanari, gli intellettuali di riferimento ormai più quotati.

Dei raffinati analisti potrebbero chiedersi come fa Schlein a spostare il Pd sempre più a sinistra e a tenersi attaccati gli elettori di centro, quando perfino Repubblica, con Concetto Vecchio, scrive che «moderati sono i leghisti di Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, la maggioranza silenziosa vota Giorgia Meloni e il Bel Paese non è troppo di destra ma neppure troppo di sinistra, ama chi la sa lunga e crede in chi vince, è attaccato alle tradizioni, ma anche capace di sincera coesione e grandi slanci». Non può dirlo chiaramente, perché andrebbe contro le ragioni sociali della ditta, ma anche lui si è accorto che la premier è molto più rassicurante della leader dell’opposizione, ha un’alleanza su cui può contare e dà l’impressione di maggiore decisione e affidabilità; e non è solo dovuto al fatto che si capisce quando parla.

D’altronde è sempre Repubblica, antica profeta dell’alleanza tutti contro una, ieri a pubblicare un sondaggio di Ilvo Diamanti che certifica come il campo largo convince solo gli elettori del Pd (sei su dieci) ed è parimenti mal visto tanto da quelli di Cinque Stelle (71 su cento) quanto dai calendian-renziani (69 su cento). In questo caos, la notizia positiva è che Elly mantiene un controllo sul partito al momento superiore a quello che avevano i suoi predecessori; ma forse solo perché è troppo presto per agitarsi. Qualche grattacapo glielo procurano i testimonial arruolati per le Europee.

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Lucia Annunziata che voleva votare no all’uso in Russia delle armi che gli alleati danno all’Ucraina. Ma soprattutto, Marco Tarquinio da Assisi. L’ex direttore di Avvenire pontifica, tra citazioni di Giorgio La Pira, apprezzamenti per Forza Italia e il Berlusconi pacifista e necessità «di una forza centrista che si collochi più a sinistra o più a destra». Manifesto catto- comunista, quanto più distante dalle visioni liberal, alias woke, dell’anglosassone Schlein, come se di capicorrente democristiani, tra Renzi, Conte e Franceschini, già non ce ne fossero abbastanza nel campo largo. A complicare il quadro, quelli che sognano di portarci dentro anche un pezzo di Forza Italia, magari attraverso nuovi testimonial. Ma almeno questo a Elly sarà risparmiato. Il campo è largo, ma sono tutti fuori dal recinto.

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