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Askatasuna, il mistero dei soldi pubblici regalati: chi c'è dietro

di Pietro Senaldi martedì 23 dicembre 2025

4' di lettura

«Il fallimento non sta nell’aver tentato una sfida difficile, il fallimento sarebbe stato non provarci. Quanto è avvenuto lo scorso 18 dicembre non è stata una scelta politica dell’amministrazione comunale ma la conseguenza di atti giudiziari e di una violazione di un’ordinanza legata alla sicurezza dell’immobile». Stefano Lo Russo non riesce neppure a pronunciare la parola “sgombero”, tanto la ferita deve fargli ancora male. «Ciò che non riesce viene bollato come velleità mentre ciò che riesce viene celebrato come intuizione geniale», recrimina il sindaco di Torino, quasi credesse davvero che un amministratore vada giudicato in base alle buone intenzioni e non ai risultati concreti. Ma il fallimento del patto Bene Comune e la conseguente chiusura di Askatasuna erano scritte nel dna del centro sociale.

«È la favola della rana e dello scorpione. Lo Russo è un buon diavolo e si è illuso di inquadrarli, ma gli antagonisti di corso Regina Margherita vogliono dare battaglia non regolarizzarsi; e più ne racconti le violenze, più si esaltano. E parte della sinistra li ha pure strumentalizzati, in chiave anti-governativa e alla ricerca di consenso». Giacomo Portas è il leader dei Moderati piemontesi, che però qui stanno a sinistra, però non fa sconti alla sua parte. Il tentativo in corso in questi giorni a Torino è far passare il concetto che il bambino non va gettato con l’acqua sporca, che Askatasuna svolge un’importante ruolo sociale e che un manipolo di delinquentelli rischia di distruggere tutto. Più si scava tuttavia, meno si vede il bambino e più ci si ritrova circondati dall’acqua sporca. Difficile pensare che l’ex procuratore anti-mafia, Giancarlo Caselli, dalle note simpatie progressiste parli a vanvera quando dice che «Askatasuna ha strategie di portata illegale e talvolta eversive e la politica che non ha ben chiaro questo è irresponsabile».

La sensazione è che tutto questo ruolo sociale del centro occupato sia «più millantata che effettiva», sintetizza il consigliere comunale Silvio Viale, radicale e di +Europa, con un robusto passato in Autonomia Operaia. Il politico-ginecologo ha sempre denunciato la violenza di Askatasuna e, casualmente, ha rimediato cinque denunce di violenza da altrettante ragazze del collettivo femminista del centro sociale, che lo hanno portato a un processo nel quale è risultato innocente. Tanto per far capire che gli antagonisti non picchiano solo in piazza...

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PICCHETTI E PUGILATO
In realtà non esiste un’associazione Askatasuna. Nulla si è costituito in un’entità formale, tant’è che il famoso patto con il Comune lo ha firmato per conto del centro sociale il Comitato di Garanzia, quello che doveva vigilare e non l’ha fatto. Anche le attività meritorie che lo sgombero e il successivo sequestro avrebbero interrotto non si riescono bene a identificare. Certo, nella struttura di corso Regina Margherita 47, un bell’edificio di inizio Novecento con 800 metri quadrati di parco - valore stimato dai due ai tre milioni di euro si tengono concerti, si organizzano talvolta delle polentate o delle serate alcoliche, qualche nonno sessantottino ci porta i nipotini, ma siamo nell’ambito delle attività ricreative. 

«A meno che non si voglia ritenere attività sociale lo sportello Prendo Casa, dedito all’organizzazione dei picchetti per impedire lo sfratto degli inquilini morosi», punge Maurizio Marrone, assessore regionale di Fdi proprio alle Politiche Sociali, oltre che all’Integrazione socio-sanitaria. Un’altra attività era la palestra di pugilato, «dove però si insegnava in realtà come menare i poliziotti», chiosa il fratello d’Italia, che ha una tesi interessante sulla sinistra che non condanna Aska. «Prima lo coccolavano come bacino di consenso, ora devono difenderlo per evitare di far cadere Lo Russo, che sul centro si è giocato molto e che è attaccato anche dalla sinistra moderata. Perché se si va a elezioni con il bubbone aperto stavolta...». Tant’è che si proverà a chiudere la pratica prima del voto, nel 2027. Come? Il comitato dei garanti ha fallito, troppo vicini ai militanti duri e puri per sorvegliarli e condizionarli. Toccherà a chi ha offerto copertura politica ai violenti farsi avanti per gestire il centro sociale, dopo adeguato bando: ma chi si vuole prendere la grana di far cambiare natura ai violenti, agli scorpioni già pronti a mordere mortalmente i loro salvatori? Quando Don Ciotti afferma che «Askatasuna è stato anche ossigeno, non tutto va criminalizzato e, anche se la violenza va condannata, i giovani che lottano per l’imam (quello che ha benedetto la strage del 7 ottobre, ndr) avevano obiettivi giusti portati avanti male», fa scudo con la propria immagine caritatevole a dei teppisti che si organizzano in commando per creare disordine.

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GLI SPONSOR DI ASKA
Non deve stupire: sinistra ed estrema sinistra a Torino sono un tutt’uno, che aggrega la Cgil, le Acli, l’Arci, l’associazione Libera; sono questi gli sponsor di Askatasuna. Attenzione però: non si deve pensare che all’interno del centro sorga un associazionismo spontaneo dedito ad assistenza e volontariato. Sono i partiti e le associazioni che prestano la propria faccia per coprire quello che, specie negli ultimi tempi, con assalti a ferrovie, quotidiani e commissariati di polizia è diventato un covo di pregiudicati e condannati più che un centro sociale di fricchettoni quale era. Le attività organizzate da “Dopolavoro” e “47”, associazioni citate nel patto Bene Comune con il sindaco, non sono che aperitivi, appuntamenti musicali, partitelle di calcetto organizzate e propagandate via social per raccogliere qualche soldo.

Già, quello dei soldi è un altro grande punto interrogativo. L’opposizione di centrodestra ha più volte chiesto in Consiglio comunale chi paghi le utenze di Askatasuna, quanto il centro pesi sulle casse pubbliche. Ma tutte le richieste non hanno mai ottenuto risposte puntuali e chiari dall’amministrazione. Si sospetta, in maniera fondata, che le bollette non vengano pagate o siano saldate dal pubblico. Traccia di soldi erogati direttamente però non sono state trovate. Ci sono un paio di cooperative che sono riferibili a militanti del centro e che svolgono servizi sociali pagati dal Comune, con affidamenti per bandi, poi costantemente prorogati, ma hanno opportunamente sede in altri stabili, visto che anche prima del sequestro giudiziario, non era legale domiciliarsi o risiedere in corso Regina Margherita 47.

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