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Alessandro Gonzato: Pd, M5s e intellettuali giustificano i violenti rossi, "ragazzi che usano parole sbagliate"

di Alessandro Gonzato venerdì 4 ottobre 2024

3' di lettura

Chef Rubio, l’ayatollah di “Unti e Bisunti” e “Camionisti in trattoria” - programmi che conduceva in tivù prima di lasciare un incolmabile vuoto ieri ha invitato a pregare per l’ex terrorista Nasrallah ucciso da Israele. Lo Chef, che si chiama Gabriele Rubini, ha vomitato sui «giornali sionisti che stanno diffondendo odio antimusulmano e antisemita», ma non c’entrano le sue mangiate pantagrueliche. I conati sono di disprezzo per Israele. Lui, domani, a meno di imprevisti attacchi di stomaco sarà a Roma per la grande manifestazione - non autorizzata per motivi di sicurezza - a favore della Palestina, in realtà un nuovo pretesto per sputare veleno su Gerusalemme e l’Occidente.

Sfilerà anche Gad Lerner? Nel dubbio il collega si è portato avanti. Per lui il corteo del 5 ottobre è un grido di dolore con imperfezioni lessicali: «L’ultima cosa da fare», ha spiegato, «è opporre un veto a chi nella sofferenza usa parole sbagliate». Capito? «Sfoggiando ottusa intransigenza di facciata si contribuisce all’importazione tra noi del fanatismo», ha chiarito, e noi pensavamo che i fanatici fossero quelli che inneggiano all’intifada. Passiamo (per ora) ai politici.

Il deputato grillino Dario Carotenuto, il quale fa parte dell’intergruppo per la pace tra Israele e Palestina, ha dichiarato che «probabilmente» non ci sarà «per motivi per personali», ma tranquilli, «idealmente sì, ci sarò». E ancora: «Io ci sarei andato per marciare pacificamente» - ah, non con la scimitarra? - «ho anche firmato io l’interrogazione a Piantedosi sul divieto», ha tenuto a evidenziare. «Io ho un approccio ghandiano», ha specificato, «e ricordo che questo governo con il ddl sicurezza ha reso punibili anche le manifestazioni pacifiche, con un’intollerabile stretta».

Per la dem Laura Boldrini «è stato un errore impedire di manifestare», e uno può anche discuterne, però... «Con tutte le accortezze», ha sentenziato, «sarebbe stato meglio consentirlo». Chiariamo: a Libero non invochiamo mai aprioristicamente misure restrittive, difendiamo la libertà di parola e protesta, anche a tutela di chi disprezza la democrazia, ma con un limite di ordine pubblico ovviamente. Quali sarebbero state le «accortezze» che invoca la Boldrini? La dem non l’ha reso noto. Attenzione: poteva mancare il compagno Marco Furaro?

Sì, e non ne avremmo sentito la mancanza. «Alcune parole d’ordine uscite in queste settimane sono gravissime, da condannare, ma», ecco l’ineffabile Furfaro, «è innegabile che ci sia nell’opinione pubblica e in particolare tra le giovani generazioni la voglia di dire la propria anche su questo conflitto». E perché il Pd non ha condannato i minuti di silenzio in onore dell’ex capo di Hezbollah? Furfaro lotta come un leone: «Questo governo sa solo reprimere e punire, ma la democrazia è ben altro». Il Pericle Furfaro. Più morbido Giuseppe De Cristofaro, capogruppo al Senato di Alleanza Verdi Sinistra, ma anche per lui il governo ha sbagliato.

Torniamo ai 5Stelle: 15 parlamentari capeggiati da Stefania Ascari hanno presentato un’interrogazione al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi «per sapere se sia a conoscenza della decisione adottata dalla questura di Roma e quali siano le esatte motivazioni alla base del divieto». A meno che Piantedosi non sia iscritto ai 5Stelle, cosa che non risulta, ipotizziamo che sia a conoscenza del divieto del questore.

Irrompe il dem Roberto Morassut, che si esibisce in un salto immortale: «Se le autorità hanno valutato di non autorizzare il corteo avranno motivi di pensare che esistano elementi che possano turbare l’ordine pubblico, non penso abbiano fatto valutazioni politiche. Però» – pronti per l’acrobazia? – «penso che la richiesta di manifestare risponda al bisogno di protesta contro quello che è a tutti gli effetti un massacro». Poi c’è Alessandro Orsini che sul Fatto Quotidiano esalta le qualità belliche dell’Iran e dice che dobbiamo temerlo. Ma questa è un’altra storia. Forse.

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