Domani Giorgia Meloni sarà in Brasile per un vertice del G20, l’anno si chiude con un’agenda “lulista”: lotta alla fame e alla povertà, sviluppo sostenibile e transizione energetica, riforma delle istituzioni internazionali. Attenzione all’utopia socialista, annebbia la vista. In cronaca emergono altri titoli, i leader parlano improvvisamente di pace in Ucraina, quello che ieri era un tabù (dialogare con Vladimir Putin), ora diventa la telefonata con il presidente eletto degli Stati Uniti e con il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Donald Trump è un acceleratore della storia.
La partita a scacchi tra i giganti è già cominciata, la pace si fa con le mappe sul tavolo, i cartografi e gli economisti dietro le quinte, gli sherpa che preparano i documenti diplomatici. Basta andare a rileggere le memorie di John Maynard Keynes sul vertice di Parigi del 1919 per capire «le conseguenze economiche della pace» e gli errori che sono in agguato anche oggi. Volodymyr Zelensky dice che «con Trump la guerra finirà prima», ma le intenzioni di Putin sono come la Russia descritta da Winston Churchill, «un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma», mentre Washington e Pechino affilano la lama dei dazi. Quanto al ruolo dell’Europa, Emmanuel Macron cerca un rilancio personale, Scholz sogna la riapertura del rubinetto del gas di Mosca, dunque vanno evitati esperimenti come il “formato Normandia”, dove Francia e Germania hanno già fallito. Guerra e pace dipendono dalle armi del Pentagono e dal Congresso a trazione “Maga”, dalle linee di confine che ha in mente lo zar, dai calcoli di Xi Jinping su quanto tenere impegnata in Europa la macchina della difesa americana.
Il resto è poesia brussellese e il penoso negoziato sulla Commissione dimostra la crisi delle élite dell’Unione. La premier Meloni deve tenere bene a mente il passato e il presente, l’Italia ha un ottimo rapporto con Trump e Zelensky, il leader indiano Narendra Modi (l’Indo-Pacifico è la via del futuro) e il presidente argentino Xavier Milei (il rivoluzionario liberale opposto a Lula), per tradizione abbiamo ponti diplomatici aperti con tutti, come dimostra il viaggio del Presidente Sergio Mattarella in Cina. Guidati dal realismo, possiamo fare la nostra parte.