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Maglie: Fini da vicepremier a esodatoil continuo declino dell'eterno delfino

Dopo 30 anni in Parlamento Gianfranco costretto a lasciare dall'assenza di voti
di Lucia Esposito domenica 10 marzo 2013

3' di lettura

  di Maria Giovanna Maglie Boia chi molla, e lui ha sicuramente mollato, lo testimoniano gli scatoloni pieni di materiale residuo del fu Fli che hanno lasciato la sede di via Poli a Roma. Ma Gianfranco Fini non aveva detto: «Se amare il mio Paese ha un costo, non rientrare in Parlamento non è certo un motivo sufficiente per desistere dal tentativo di rappresentare da destra un’Italia mille miglia lontana dal berlusconismo e dal grillismo»? Non aveva insistito: «Nei prossimi giorni con le amiche e con gli amici di Fli valuteremo come dar vita a una nuova stagione di impegno culturale e politico per consentire a una generazione più giovane di continuare in prima persona a lavorare per un’Italia migliore»?  Diciamo che ne ha dette tante, su case, persone, voti, tradimenti, ingratitudine, tante e tutte senza rete, con rara sicumera e querela pronta per il giornalista irrispettoso del suo potere. Sic transit gloria mundi. Qual era la frase storica dello strappo del 2010? «Non voglio una An in piccolo, ma un Pdl in grande». Detto fatto, dal quasi 13% del 2006 allo 0,4% del 2013, e per compenso del lavoro svolto dai militanti qualche pezzo di parmigiano a prezzo di realizzo del terremoto emiliano. Di frasi storiche o presunte tali, da gettare oggi nel cestino, la storia recente, diciamo gli ultimi tre anni, di Gianfranco Fini è ridondante. Prendete i suoi twitter prima dell’ammutolimento da risultato elettorale: «Sono convinto che il confronto sarà sempre più tra Bersani e la nostra coalizione che mette insieme Casini, Monti e Fli»; «Berlusconi è come la lira, è una moneta fuori corso»; «Dopo le elezioni non ci sarà nessun tipo di accordo con Bersani. Non faremo la stampella a nessuno». Amen. Oggi Fini va in pensione, dorata, sia chiaro, ma ugualmente dolorosa. Era il delfino, l’erede designato del Cav, una carriera da eletto, il pupillo coltivato, da Almirante in avanti, una carriera lastricata d’oro talmente immeritata e immotivata da scandalizzare i più accorti, commista a un’arroganza che solo la convinzione di intoccabilità può conferire. Dopo 30 anni in Parlamento, riceverà un assegno vicino ai 270mila euro. Il vitalizio mensile dovrebbe aggirarsi sui 6200 euro, più un ufficio e lo stipendio per alcuni collaboratori. Non avrà invece a disposizione la Fondazione Camera, finalmente azzerata. Era un giocattolo per ex presidenti che costava due milioni di euro l’anno. Uno che gioisce apertamente e giustificatamente è Paolo Fabri, nipote ed erede della signora Annamaria Colleoni, che lasciò in eredità l’ormai celeberrimo appartamento di Montecarlo ad Alleanza nazionale, quello poi finito magicamente in mano al cognato di Fini, Giancarlo Tulliani. Lo cito testualmente da un’intervista a Il Giornale perché merita: «Aveva promesso in tv a milioni di italiani che se veniva provato che la casa era di Giancarlino avrebbe immediatamente tolto il disturbo. E invece è rimasto attaccato, col Bostik, alla poltrona nonostante le innumerevoli prove schiaccianti: Elisabetta Tulliani che sovrintendeva la ristrutturazione, i contratti con le stesse identiche firme tra locatore e locatario, le cucine Scavolini, le off-shore ai Caraibi, le testimonianze di operai e coinquilini, i passaporti dei fratelli Tulliani inviati a quel Co-rallo lì...». Ovvero quei rapporti da chiarire con Francesco Corallo, il latitante re dei videopoker, l’uomo nero di Montecarlo. Come mai il passaporto della compagna e del famoso cognato, Elisabetta e Giancarlo Tulliani, sono stati trovati a casa di Corallo?  Ultima frase famosa, il leit motiv della tragica campagna elettorale appena finita: «Che fai, mi cacci?», diceva Fini sfidando il Cav. Ha fatto tutto da solo.  

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