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Bechis: brogli, conteggi alla carlona, il Pd fa autogol

di Eliana Giusto venerdì 30 novembre 2012

4' di lettura

di Franco Bechis Un giornalista di Libero ha votato tre volte in poche ore alle primarie del Pd. Una volta a Monza e due volte nello stesso seggio, in via Borgogna 3 a Milano. Lo hanno fatto votare senza nemmeno chiedere la tessera elettorale, solo grazie a una pre-iscrizione via mail. La terza volta - la seconda nello stesso seggio - è bastato semplicemente ripresentarsi e versare il maledetto obolo da due euro: nessuno ha detto bah, e ha rivotato. Era il tardo pomeriggio di domenica, e ormai tutta l’organizzazione del Pd  era in trip da record di affluenza. Un giornalista de Linkiesta ha votato due volte. Ha provato a votare ancora: qualche presidente di seggio l’ha respinto, perché non aveva la residenza in zona. Qualcun altro però non si voleva perdere l’occasione ghiotta: «Vada al suo seggio, se poi c’è troppa fila, torni qui e faremo uno strappo alle regole». Regole aggirabili - Un regolamento rigido come il burro nel forno a microonde. L’importante era dire che si arrivava sempre più su, con tanto di codazzo di giornali e telegiornali pronti a celebrare il successo: un milione di votanti di primo mattino, poi due, poi tre, domenica sera già si assaporava quota 4 milioni. Poi si è dovuti tornare indietro con le cifre ufficiali, perché anche in alto ci si era accorti di avere un po’ esagerato con la propaganda. Certo, ai seggi c’erano file in tutta Italia. Le ho viste con i miei occhi, ed è vera la voglia di partecipazione degli italiani. Se qualcosa in palio c’è per mettere fine a questo anno orribile dei tecnici, si capisce bene il desiderio di muoversi e di provare a contare qualcosa. Fino a domenica scorsa le elezioni primarie erano state solo un gioco: servivano a impalmare il leader politico già scelto dalla nomenclatura, e in pista senza avversari degni di quel nome. Così è capitato a Romano Prodi, così a Walter Veltroni, appena un po’ più combattuta la scelta di Pier Luigi Bersani segretario del Pd. Questa volta lo scontro Renzi-Bersani è stato reale, entrambi avevano nomenclature di peso alle spalle, la battaglia aveva un senso. Era l’occasione buona per fare una cosa seria, ben fatta, all’americana. Magari per spingere a una legge che le codificasse per tutti, che non lasciasse margini di interpretazione alle satrapie locali, che chiudesse le porte a giochi e giochini, ne regolasse anche i profili economici senza l’ipocrisia che le ha sempre accompagnate (si sono messi tetti di spesa ridicoli che ovviamente hanno sfondato i big, poi mescolando le carte). Poi certo, anche in elezioni serissime ci sono brogli e irregolarità: l’esistenza di fanfaroni e mezzi delinquenti non si può abolire per legge, ma punire sì. Conteggi alla carlona - I due casi citati dei giornalisti che più volte hanno votato domenica non devono essere tanto isolati, visto che di brogli e conteggi alla carlona parlano apertamente i collaboratori di Renzi. Il conteggio ufficiale dice che il sindaco di Firenze è dietro di nove punti a Bersani. Il conto dei suoi rappresentanti di lista dice un’altra cosa: la distanza sarebbe intorno ai cinque punti. E chi ha ragione? C’è un garante super partes di queste primarie? No, che non c’è. Quindi, botte da orbi. In Toscana, dove quello forte e potente era Renzi, ha sbancato in molte province. Quelli dell’altro fronte lo accusano di irregolarità e soprattutto di avere chiesto il soccorso delle truppe di centrodestra, che secondo i bersaniani sono arrivate in massa ad esempio a Lucca. Piccole beghe, e pazienza visto che il turno domenicale ha deciso poco o nulla. Ma con il ballottaggio quel voto così permeabile a trucchi di ogni tipo dovrebbe decidere il candidato alla presidenza del Consiglio del centrosinistra italiano. E visto che con l’attuale legge elettorale quel signore potrebbe arrivare sul serio a palazzo Chigi anche con il voto di meno di un italiano su 3, la regolarità di quelle primarie non è disputa da sezione di provincia, ma tema serio per tutti gli italiani. Prima di farle solo perché sono di moda, bisognerebbe codificarle. Altrimenti, inutile lamentarsi delle truppe cammellate che le infiltrano per mettere in crisi il partito avversario. Non è manco detto che sia così. Magari ci sono molti italiani come il cantante Pupo, che ieri ha candidamente spiegato di non votare Pd, ma di essere andato a votare Renzi  e di esser pronto ad andare a votare Alfano alle primarie del Pdl. Perché? Semplicemente perché gli piace potere avere l’alternativa a marzo fra due giovani. In assenza di regole, è giusto che ognuno si costruisca così il suo bel giochino…

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