Sussurri a Palazzo

Matteo Salvini, il retroscena: tregua finita con Mario Draghi dopo la decisione sulle zone rosse

Alessandro Giuli

Il governo di Mario Draghi si sta prendendo gioco della Lega e in particolare di Matteo Salvini. Altro che tagliando sulle riaperture ad aprile, altro che cambio di passo rispetto al calamitoso esecutivo di Giuseppe Conte e Domenico Arcuri: l'Italia permane rossa e blindata in un sottaciuto lockdown. E malgrado ciò il Covid non cessa di mietere vite, per lo più di anziani non vaccinati a differenza dei professori in Dad, con gli italiani che restano divisi in due categorie: i garantiti dallo stipendio del pubblico impiego che tradizionalmente sono elettori di centrosinistra e i dimenticati dallo Stato, le forze dinamiche e maggiormente produttive della Nazione, le quali rappresentano in larga parte il blocco di consenso salviniano. Anzi rappresentavano, perché secondo gli ultimi sondaggi sono già sul limitare dell'ammutinamento.

 

 

L'immagine plastica del guaio in cui s' è cacciato Salvini l'ha offerta ieri con perfidia Chiara Geloni, icona giornalistica della vecchia ditta post comunista di rito bersaniano: con un tweet canzonatorio - "Alla fine Speranza gli ha dovuto fare il disegnino" - ha sottolineato con estremo godimento il retroscena del Corriere della Sera nel quale si riportava la conversazione in cui il ministro della Salute avrebbe mostrato all'incredulo leader i grafici in virtù dei quali l'Italia resterà sigillata fino a maggio. Un disegnino, appunto, che tiene dietro di pochi giorni alla pubblica sconfessione che lo stesso Draghi, ammanettato alla giunta degli scienziati del Cts, aveva inflitto al leader leghista in apprensione per la serrata di negozi e ristoranti: «Le chiusure sono pensabili o impensabili solo in base ai contagi».

Insomma, al netto dell'avvicendamento ai vertici della struttura commissariale incaricata di gestire l'emergenza, poco o nulla è cambiato nella direzione di marcia di un esecutivo allargato che sta confermando l'impianto reclusivo dei giallorossi; mentre i media azzerbinati alla narrazione di regime infieriscono sulla Lombardia lasciando ai margini le inadempienze vaccinali delle amministrazioni rosse (vedi il caso Toscana) e ignorando l'enorme scandalo delle mascherine farlocche e dannose (250 milioni!) acquistate da Arcuri.

 

 

 

PAGARE DAZIO - Intanto a pagare dazio, dicevamo, sono proprio gli elettori leghisti: i liberi professionisti non garantiti dai sussidi a fondo perduto, le partite Iva che al massimo si vedranno recapitare dal Tesoro il 5 per cento del fatturato annuale perduto, gli imprenditori imbrigliati dal blocco a oltranza dei licenziamenti, i commercianti e gli operatori nel settore del turismo umiliati anche in questo fine settimana di chiusure pasquali (a beneficio dei colleghi stranieri), i ristoratori abbandonati alla concorrenza sleale del delivery, i costruttori edili e i piccoli proprietari di case in locazione espropriate dal congelamento degli sfratti privo di ristori e prorogato fino al 30 giugno a dispetto della Costituzione.

E se alla base della piramide leghista è un gran ribollire di viscere esasperate, non va meglio al vertice, ovvero nella delegazione di governo salviniana. Così in serata, da Del Debbio, Matteo rompe la pax governativa: «Bisogna tornare alla vita dopo Pasqua. Le zone gialle devono essere riconosciute come zone gialle, quattro Regioni potrebbero già esserlo. Vedrò Draghi la prossima settimana, a lui chiederemo l'utilizzo di dati scientifici, non aiutini».

E indica i colpevoli della clausura: «C'è una posizione ideologica che vede solo rosso, non si riapre per tutto aprile. Io sono a processo per sequestro, mi domando perché milioni di italiani debbano essere tenuti sotto sequestro da Speranza e Orlando». Stretti fra le prepotenze proprio di Speranza e le furbizie gesuitiche di Draghi, i ministri leghisti soffrono anche un isolamento conclamato in Cdm, dove si ritrovano puntualmente in minoranza. Il discreto lavoro di Erika Stefani per i disabili a caccia di vaccino si nota poco, mentre più evidenti sono le difficoltà di Massimo Garavaglia al Turismo e soprattutto quelle di Giancarlo Giorgetti allo Sviluppo: dall'Ilva ad Alitalia passando per Autostrade e per la Rete unica, sui tavoli del Mise si affastellano ogni dì le peggiori rogne in un clima economico da sottosviluppo imminente.

 

 

 

SACRIFICI - Perfino la sottosegretaria alla Cultura, Lucia Borgonzoni, con cinema e teatri chiusi e musei aperti a singhiozzo, paga un alto dazio immeritato. Sicché la Lega, soffocata dal circolo vizioso pandemico, rischia di sacrificare le sue migliori intenzioni in uno sfiancante lavoro di mediazione dai risultati magri e dalle prospettive incerte rispetto alle premesse, come certifica la protervia con cui il Viminale si appresta a vaccinare gli irregolari in omaggio a un immigrazionismo in netta continuità con la stagione di Conte. Nulla a che vedere con il più strategico posizionamento della delegazione governativa berlusconiana impegnata a rinsaldare il legame con impiegati, funzionari e dirigenti di Stato: Renato Brunetta alla Funzione pubblica, Mara Carfagna al Sud e Mariastella Gelmini ai Rapporti con le Regioni, grazie a numerose assunzioni nella Pubblica amministrazione e tantissimi quattrini da spendere bene per congedarsi da un inveterato assistenzialismo, potranno assicurare a Forza Italia delle rendite elettorali speculari a quelle incamerate da Giorgia Meloni all'opposizione.

In questo quadro, Salvini ha certo più da perdere che da guadagnare. Se non ascolterà i consigli degli estimatori più attenti ai mugugni dei suoi elettori - a cominciare da Libero: occhio, Matteo, ti stanno fregando -, se non si ribellerà a un'inerzia così svantaggiosa imponendo in agenda i propri temi anche a costo di terremotare gli equilibri grancoalizionisti, scoprirà troppo tardi di aver giocato la sua partita per la squadra sbagliata.