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Ddl Zan, rissa sfiorata al vertice dei capigruppo: "Urla e pugni sbattuti", un altro grosso guaio per Draghi

giovedì 1 luglio 2021

2' di lettura

Ancora stallo sul ddl Zan. Dopo l'altolà del Vaticano, il disegno di legge contro l'omotransfobia fa discutere. Da una parte chi ambisce alla sua approvazione, dall'altra chi spera in un nulla di fatto appellandosi alla libertà di pensiero. Ed ecco che si arriva allo scontro. Chi presenziava alla riunione dei capigruppo al Senato parla addirittura di urla, scintille e anche di pugni sbattuti. Ad avere la meglio - riporta Il Corriere della Sera - Pd, M5s e Italia Viva che dal tavolo convocato in Senato hanno ottenuto il via libera per proseguire con il testo base.

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Lo stesso tanto contestato dalla Santa Sede e dal centrodestra. Così non rimanere che attendere il 6 luglio, quando si andrà in Aula per votare la calendarizzazione. Il termine massimo per presentare emendamenti è però fissato a venerdì 2 luglio. Poi la mattina del 6 luglio - prima di andare in Aula - è fissata ancora una commissione nel tentativo di un'intesa dell'ultimo momento e ad ora impossibile. 

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Irremovibili infatti dem e Cinque Stelle, mentre da parte renziana un'apertura sulla possibilità di mettere mano al testo c'è stata. Modificare il testo vorrebbe dire rinviare il provvedimento in terza lettura alla Camera con il rischio di non riuscire ad approvarlo entro la fine della legislatura. In questo caso però il partito di Matteo Renzi si schiererà con la sinistra. Il capogruppo di Italia Viva in Senato, Davide Faraone, lo ha detto chiaro e tondo: "Se non dovesse trovarsi un' intesa, Italia viva conferma che voterà per portare in Aula la legge". Dello stesso parere la piddina Simona Malpezzi, che ha ribadito la necessità di avere una data certa per la discussione in Aula. Mentre il capogruppo della Lega Massimiliano Romeo ha detto a sua volta la sua: "Noi abbiamo chiesto modifiche anche sostanziali". Nella lente d'ingrandimento di Forza Italia, Fratelli d'Italia e Carroccio gli articoli 1, 4 e 7., per cui viene meno uno dei fondamenti della nostra Costituzione: la libertà di pensiero.

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