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Quirinale, le mosse di Massimo D'Alema: retroscena, il piano per fregare il centrodestra e condannare l'Italia

sabato 27 novembre 2021

3' di lettura

Romano Prodi, intervistato dalla Stampa, parla della partita del Quirinale: «So contare, quindi seppure questo Pd non fosse più quello dei 101, è troppo piccolo per dare le carte». Quanto a Silvio Berlusconi, «la sua aspirazione è legittima, ma dovrebbe imparare a contare anche lui». È incredibile, il fondatore dell'Ulivo ha una carriera costellata di gaffe ed errori, eppure continua a essere considerato un padre nobile della patria. Dà giudizi e commenti, è considerato ancora il migliore dalla sinistra, senza mai un "mea culpa". Ma come si fa a dimenticare gli sbagli di Prodi? Quando fu presidente dell'Iri- anni ottanta - passò alla storia per aver venduto a super sconto l'Alfa Romeo alla Fiat, quando Ford invece offriva molto di più. Non solo: voleva cedere per qualche centinaio di miliardi di lire la Sme, un patrimonio alimentare italiano, a Carlo De Benedetti. Per fortuna fu fermato da Bettino Craxi. Qualche anno dopo la stessa Sme fu ceduta a un prezzo cinque volte più alto... Però il "professore" è paragonato al papa. Dice che Berlusconi dovrebbe «imparare a contare». Stiamo scherzando?

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Prodi è quel presidente del Consiglio che caricò gli italiani con manovre finanziarie monstre allo scopo di entrare nella moneta unica. Promise poi di restituire l'eurotassa, peccato che quasi metà del balzello se lo sia tenuto stretto lo Stato. Non credibile, dunque. Così come non sono credibili le sue previsioni o analisi. Sentite questa: «Con l'euro lavoreremo un giorno in meno, guadagnando come se lavorassimo un giorno in più». Viene da ridere, se non ci fosse da piangere. La trattativa sul cambio lira-euro fu discutibile, mentre fu favorevole perla Germania. Risultato finale, secondo il think tank tedesco Cep: grazie alla moneta unica, in 20 anni, ogni tedesco ha guadagnato 23 mila euro, mentre ogni italiano ne ha persi 75 mila. Un mega favore a Berlino, così come l'ap- poggio di Prodi alla Cina è stato un regalo a Berlino, che ha stretto un rapporto privilegiato a scapito degli altri partner Ue, Italia compresa. Ora, dopo il Covid e il blocco delle esportazioni, scopriamo i danni di quel modello Pechino-Berlino. Meno male che non abbiamo seguito i consigli del "Professore"...

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Però forse una cosa giusta, nell'intervista a La Stampa, l'ha detta Romano: «Il Pd è troppo piccolo per dare le carte» nella partita per il Quirinale. E allora in soccorso di Letta interviene un'altra vecchia gloria della sinistra: Massimo D'Alema. Il segretario dem non vuole mandare Draghi al Colle perché non vuole le elezioni anticipate. Stesso pensiero del fu leader della Quercia che bolla come «stravaganza» questa ipotesi: «Una parte della destra coltiva l'idea di eleggere l'attuale presidente del Consiglio al Quirinale, pagando così un prezzo di "legittimazione europea", per poi andare allegramente a elezioni. Nella primavera del 2022 scadono gran parte dei termini per l'assegnazione dei fondi europei ai progetti. L'idea che noi ci possiamo trovare in una campagna elettorale mi pare oltre il limite della stravaganza consentita, in un paese che pure non è nuovo alle licenze. E' evidente che interrompere, o anche soltanto indebolire l'azione del governo in carica sarebbe contrario agli interessi fondamentali del nostro paese», scrive l'ex premier, Massimo D'Alema, nell'editoriale della rivista Italianieuropei, anticipato dall'Huffington Post.

Va bene, ma chi vedrebbe D'Alema come presidente della Repubblica? «Sarebbe una scelta importante se dopo settant' anni di storia repubblicana il Parlamento si mettesse in grado di eleggere una donna al ruolo più alto di garante della democrazia». Eccola là, la figurina da giocare come jolly... Baffino comunque sa che, mentre ufficialmente si dicono belle cose (Draghi bravo, una donna al Colle), bisogna trattare per salvare la pelle e soprattutto per fregare il centrodestra. Come? Con la legge elettorale. «Sarebbe un errore non cogliere l'occasione di un governo di larga unità nazionale per affrontare l'esigenza di una riforma, cioè un cambiamento del sistema elettorale». Sì, così nessuno vincerà le prossime elezioni e l'Italia sarà ancora ingovernabile.

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