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Laura Boldrini, gita-flop a Gaza: "Non ci fanno entrare"

Laura Boldrini posta sui social il proprio disappunto insieme ai colleghi di Avs e M5S: "Il valico di Rafah è sigillato: nessuno entra e nessuno esce. Sentiamo le bombe"
di Claudia Osmetti lunedì 19 maggio 2025

3' di lettura

«Il valico di Rafah è sigillato: nessuno entra e nessuno esce». La carovana dell’intergruppo parlamentare Pace Israele Palestina, quella con a capo l’ex presidente della Camera Laura Boldini che da qualche giorno è impegnata nella “risalita” del Sinai, è finalmente arrivata a Gaza. O, almeno, al confine con Gaza. È che di entrare nella Striscia non riesce nemmeno a lei (cosa che era, tra l’altro, alquanto prevedibile): restano fuori, Boldrini, Cecilia Strada, Benedetta Scuderi e i compagni al seguito; restano fuori però il comizietto lo fanno lo stesso. «Stop-stop-genocide» (non serve la traduzione, ma a scanso di equivoci il grido è quello sentito e risentito nei cortei propal di mezzo mondo, in particolare della metà occidentale dove è ancora un sacrosanto diritto quello di scendere in piazza e manifestare: fermiamo-il-genocidio): non fosse sufficientemente chiaro, Boldrini si fa riprendere davanti alla linea del confine, ci sono tre uomini in jeans camicia a mezze maniche, portano gli occhiali da sole, hanno l’aria defilata, lei invece indossa una t-shirt nera con su scritto solo “cessate il fuoco” a caratteri cubitali.

«Sentiamo il boato delle bombe», dice a beneficio dei suoi followers sul social network X, «e sappiamo che significa altri morti, altra distruzione. Siamo venuti qui per rompere il silenzio sul massacro del popolo palestinese pianificato da Netanyahu e dal suo governo». Niente meno. È la solita tiritera: d’altronde la parola “Hamas”, da quando il pullmino bianco della delegazione ha lasciato il Cairo tre giorni fa, non s’è sentita pronunciare nemmeno per sbaglio. In compenso il portabagagli dell’autobus era ben equipaggiato di striscioni, cartelli e materiale da corteo: qualcuno srotola un cartellone con la scritta “stop complicity” (basta-complicità), altri alzano fogli A4 che contengono il repertorio classico della propaganda anti-israeliana (“stop genocide now”, “stop arming Israel”, “stop apartheid”), i più originali mostrano una stampa del Quarto stato di Pellizza da Volpedo e gli smaliziati sollevano i ritratti dei leader europei tra i quali spiccano, a colpo d’occhio, forse perché sembrano quelle più grandi, le fotografie della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, dell’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Kaja Kallas e della premier italiana Giorgia Meloni (che tecnicamente, a Bruxelles, non ricopre alcun ruolo istituzionale: però si sa, tutto fa brodo).
«I leader europei non possono restare in silenzio perché il silenzio è complicità», rimarca ancora (e a proposito) Boldrini, «devono fare tutto il possibile per impedirgli (si riferisce al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ndr) di continuare questo sterminio». «L’Europa e i governi avrebbero tante leve per fermare Israele», aggiunge invece Strada, «come sospendere l’accordo di associazione Ue-Israele oppure richiamare gli ambasciatori». O fare pressioni, la si butta là, affinché Hamas non si limiti a dichiarare «stiamo negoziando la fine della guerra, niente di più» (come ha fatto ieri il suo ufficio politico in Qatar), ma garantisca, e soprattutto dia prova dell’intenzione, che non ci sia in futuro un nuovo 7 ottobre, in modo che allora sì, si possa sul serio parlare di pace.

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