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Beppe Sala? Milano merita molto di più che un sindaco che fa la badante a Luigi Di Maio

di Massimo Costa venerdì 29 luglio 2022

3' di lettura

Prima è stato il supermanager del trionfo di Expo 2015, poi è diventato il primo sindaco di Milano di area Pd rieletto al primo turno con percentuali bulgare. Il volto moderato e un po' bauscia della sinistra chic, con un'immagine perfetta per raccogliere consensi dalla sinistra arcobaleno agli imprenditori che una volta avevano la tessera di Forza ItaliaBeppe Sala, da qualche settimana, è però diventato inaspettatamente il primo sponsor di Luigi Di Maio: lo ha appoggiato nella rottura dal Movimento Cinquestelle, ne ha apprezzato il sostegno al governo Draghi fino alla morte e - dulcis in fundo - ora lavora alla composizione della sua nuova lista per le elezioni politiche. Una inversione a u con doppia linea continua. Ma come: solo quattro anni fa Beppe Sala tuonava così contro l'allora ministro M5S Di Maio, favorevole alle chiusure domenicali dei negozi: «Lo facessero ad Avellino, qui a Milano non ci rompano le palle». Chapeau, dieci minuti di applausi.

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Senonché, con la fuga di Gigino e la caduta di SuperMario, il riavvicinamento tra Sala e Di Maio è completato. I due si sono visti a New York, poi a Milano e Verona. Due giorni fa Enrico Letta ha convocato entrambi per tessere l'alleanza. E adesso Mister Expo adesso avrà il compito di reclutare alcuni "profili civici" da inserire nella lista di Gigino. Spiega Sala: «Molti sindaci sono stati eletti con voti che riferivano a liste civiche, persone che si sentivano di sinistra, ma che magari per mille motivi non volevano votare Pd. Possono portare questi contributi». Attenzione: il sindaco giura che non mollerà Milano per il nuovo contenitore di "Insieme per il futuro", ma comunque «darà una mano» perché «è una lista giovane che in pochi giorni deve essere costituita». Per carità, Di Maio è sicuramente più abile di tutti i suoi ex compagni Cinquestelle.

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Ma perché il sindaco di Milano - la capitale economica che ha finalmente rialzato la testa dopo la mannaia del Covid - deve impantanarsi nella palude romana di trattative, listini, quote, candidature di un partitino nascente? In passato il nome di Sala è circolato più volte per un ministero di peso, e qualcuno lo voleva come dello Stato per incarichi nazionali (ad esempio per la guida di una ipotetica superholding delle telecomunicazioni). Qualche grande come Matteo Renzi ha pensato a lui addirittura per Palazzo Chigi: «Vedrei bene Sala premier...». Anche ieri il ministro Pd Andrea Orlando definisce Sala «una risorsa importantissima». Ma non sarà questa l'elezione in cui Mister Expo sbarcherà nella contesa nazionale, e così ci lascia quest' immagine un po' amara di un sindaco di Milano ridotto al ruolo di assistente (per non dire badante) di uno dei protagonisti della grande ammucchiata del nuovo centrino. La linea di Sala, sulle alleanze, è chiara: no ai grillini, sì a un raggruppamento ampio contro il centrodestra: «Non è il momento dei veti ma di raccogliere quanti più possibili intorno a un'idea progressista, popolare, di centrosinistra». Eppure, a quanto pare, il Pd lombardo sta andando nella direzione opposta, visto che i lettiani stanno lavorando per le regionali 2023 al rinnovo dell'alleanza con M5S. «Non in nome mio» ribatte Sala. Un altro problema per Enrico Letta. 

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