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Landini e i comunisti, Sallusti tombale: "Cosa ci rivela davvero quell'inno sovietico"

di Alessandro Sallusti domenica 15 gennaio 2023

2' di lettura

L'episodio in sé può apparire marginale ma è invece rivelatore di cose molto importanti e serie. L'altra sera a Bologna, al congresso della Cgil, al momento della proclamazione del nuovo segretario locale, è stato diffuso a tutto volume dagli altoparlanti l'inno dell'Unione Sovietica. Tra i presenti, compreso il leader nazionale Landini, nessuno si è stupito né ha obiettato, anzi sono scrosciati applausi e c'è stato pure un momento di emozione collettiva. Per loro l'inno del comunismo più violento e sanguinario della storia, quello per intenderci che accompagnava i carri armati russi durante le invasioni dei paesi dell'Est, che veniva suonato nei gulag per educare i carcerati politici e che oggi risuona in forma rivista e corretta dopo ogni massacro di civili in Ucraina, può essere colonna sonora di un sindacato italiano.

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E in effetti sì, è proprio così. Quella musica ancora oggi ha cittadinanza nella sinistra, in fondo è stata la colonna sonora della loro gioventù e come tale è rimasta certamente nel cuore e probabilmente nella testa di tanti compagni. Ma non mi riferisco alle note, alla melodia solenne, bensì a ciò che ha rappresentato e ancora oggi rappresenta: il comunismo nella sua forma pura e vincente. È qualcosa di più di un effetto nostalgia, è qualcosa che vive sotto traccia in buona parte della sinistra italiana, quella parte - molto meno minoritaria di quanto appaia o si immagini - che ancora spera di poter sventolare un giorno la bandiera rossa sui palazzi delle nostre istituzioni.

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A ben vedere questo è il vero problema del Pd: non aver fatto fino in fondo e una volta per tutte i conti con il comunismo. Ogni volta che prova a rompere il cordone ombelicale con quel passato tragico sul più bello tentenna, torna indietro e questa è la vera profonda differenza con la classe dirigente della nuova destra che del fascismo e dei suoi simboli non ne vuole sentire neppure parlare. C'è un passato che non torna, quello fascista, e c'è un passato che non è mai passato, quello comunista. Landini e compagni parlano di democrazia e Costituzione ma quell'inno li smaschera, non è una voce dal sen fuggita bensì la loro di voce e di identità.

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