"Voto sì al referendum sulla cittadinanza, ma il Paese non è pronto". Se quello di Giuseppe Conte voleva essere uno spot per la consultazione dell'8 e 9 giugno, rischia di rivelarsi un gigantesco, surreale autogol politico.
"Voterò si al quesito sulla cittadinanza, anche se temo che il Paese non sia pronto a questo dimezzamento e che la battaglia per migliorare e modificare l’ottenimento della cittadinanza sarà buttata via", spiega il leader del Movimento 5 Stelle in un punto stampa al Parlamento europeo. "Il quinto referendum, quello sull’immigrazione, lo dico molto chiaramente, per me non è la soluzione. Abbiamo fatto una riflessione interna. In questo momento non è la soluzione dimezzare quelli che sono gli anni necessari per acquistare la cittadinanza. Io credo che il modo migliore per costruire un processo di coesione sociale che coinvolga senza paure, senza fobie e discriminazioni anche gli immigrati sia quello dello ius scholae", ha concluso. Verrebbe da chiedere allora il significato di una mobilitazione come un referendum abrogativo, se nemmeno chi è a favore lo sostiene fino in fondo.
In generale sul resto dei quesiti, prosegue l'ex premier lanciando una strizzatina d'occhio a Maurizio Landini, segretario della Cgil, "la nostra posizione è che abbiamo accettato e condiviso da subito l'opportunità che le lavoratrici e i lavoratori hanno di avere maggiori tutele, e soprattutto anche sicurezza sul lavoro, votando quattro sì sui Referendum che attengono ai rapporti di lavoro". Sulla cittadinanza, "la nostra proposta è il nostro progetto primario. Di fronte quindi a questo Referendum abbiamo deciso per la libertà di voto per ciascun iscritto". Un modo forse per smarcarsi dalla possibile sconfitta sul quesito più impattante a livello politico tra tutti quelli sul tavolo tra poco meno di un mese.
Un po' di agitazione e qualche imbarazzo anche nel Pd, con un gruppo di esponenti riformisti dem che scrive a Repubblica: non serve "agitare un simulacro fuori dal tempo, con un dibattito che distrarrà l'attenzione dai veri problemi, oltre a creare divisioni in campo progressista e sindacale". Per questo, spiegano Giorgio Gori, Lorenzo Guerini, Marianna Madia, Pina Picierno, Lia Quartapelle e Filippo Sensi, "l'8 e il 9 giugno andremo a votare sì al Referendum sulla cittadinanza, che risponde alle attese di milioni di persone discriminate nei loro diritti, e sì al quesito sulle imprese appaltanti, in un paese con una intollerabile strage quotidiana di morti sul lavoro. Ma non voteremo gli altri 3 quesiti". Un bel siluro per la segretaria Elly Schlein.