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Messina Denaro? Non solo Saviano: chi rosica (e spalava fango sulla Meloni)

di Fausto Carioti mercoledì 18 gennaio 2023

4' di lettura

Giorgia Meloni parla come è giusto che faccia un'alta carica istituzionale dopo un successo simile: «Chi tenta di fare della lotta alla mafia un tema divisivo fa un favore alla criminalità organizzata. È una battaglia che dobbiamo condurre tutti insieme». Belle parole, che però non cambiano la realtà: la divisione sulla mafia c'è. L'hanno fatta altri negli anni passati, innalzando un muro di retorica: da una parte chi si proclama monopolista della legalità, dall'altra il centrodestra. E l'arresto di Matteo Messina Denaro ha una sua forza polemica oggettiva, perché fa giustizia di tutto ciò che è stato urlato contro il governo. I primi ad usare l'argomento come una clava sono stati i professionisti dell'antimafia. Nel maggio del 2020 Roberto Saviano scrisse che Matteo Salvini e Meloni lo criticavano perché lui aveva «raccontato come la mafia dei colletti bianchi porta le aziende in crisi ai clan». E buttò lì l'insinuazione: «Davvero» quei due «ignorano tutto? Oppure sanno, tacciono e preferiscono attaccare me?». Eccola l'accusa di essere complici (o conniventi, o servi sciocchi, poco cambia): l'ombra di uno stalliere di Arcore che come il Banquo di Macbeth accompagna ovunque i leader del centrodestra.

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«ERRORE MADORNALE»

Concetti che Saviano ha ripetuto nei giorni precedenti alle elezioni: «Il tema mafia è scomparso dalla campagna elettorale perché non porta voti. Porta ad un allontanamento di chi ti ascolta. Se per anni disabitui il dibattito pubblico a questi temi diventa inattuale. La politica tuttora ha abdicato tutto alla magistratura, facendo un errore madornale». Insomma, a sentir lui in chi si candidava a governare il Paese non c'era voglia di combattere la mafia, ma l'esatto contrario: il desiderio di anestetizzare gli italiani, distoglierli dalla questione. Argomenti non molto diversi li ha sostenuti Roberto Scarpinato nell'aula di palazzo Madama, durante il dibattito sulla fiducia al governo. L'ex procuratore generale di Palermo, eletto senatore nelle liste dei Cinque Stelle, ha messo in dubbio la «dichiarata intenzione» del premier «di mantenere una linea di fermezza nella lotta contro la mafia», dal momento che «la vostra maggioranza si regge anche su una forza politica il cui leader ha mantenuto rapporti pluriennali coi mafiosi e che ha tra i suoi soci fondatori Marcello Dell'Utri».

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Per Federico Cafiero De Raho, ex procuratore nazionale antimafia, eletto con il M5S nell'altro ramo del parlamento, il vero scopo della nuova disciplina delle intercettazioni è facilitare la vita ai mafiosi: «Senza intercettazioni, non avremmo più un solo processo per reati di mafia». Un favore ai padrini, proprio come il proposito di abolire la legge "Spazzacorrotti" voluta dal grillino Alfonso Bonafede. «In questo modo», è sempre il De Raho dei giorni scorsi che parla, «la maggioranza e il governo indeboliscono la forza dello Stato contro le mafie». Che il governo sia mafioso o para-mafioso, del resto, è il refrain dei Cinque Stelle. Giuseppe Conte lo ha cantato tante volte, nel tentativo di togliere credibilità alla legislazione del governo in materia di giustizia. «Giorgia Meloni nei suoi discorsi cita Borsellino e la lotta alla mafia», ha detto di recente. «Ora però usano la scusa di un rave per trasformare la legge Spazzacorrotti in un piano Salvacorrotti. Si creano autostrade per le infiltrazioni nelle amministrazioni pubbliche da parte di mafie e criminalità».

«IL VENTO È CAMBIATO»

Un po' di giudizi dovrebbero essere rivisti, insomma. Inclusi quelli del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. Prima, agli inizi di dicembre, aveva avvertito che col centrodestra al governo tirava un'aria diversa, ovviamente peggiore: «C'è un vento che è cambiato. Sta toccando vari pezzi delle istituzioni, sta toccando un po' tutta quella che è la legislazione antimafia. Sta soffiando in modo contrario rispetto a ciò di cui c'è veramente bisogno per arginare le mafie». E poi alla vigilia di Natale, intervistato dal Fatto, ha reso pubblico tutto il proprio sdegno: «Quando Giorgia Meloni si è insediata, ha indicato la lotta alla criminalità organizzata come una delle priorità del suo governo. Ci avevo creduto, ma evidentemente ho sbagliato». Il motivo era il solito: «Limitare l'uso delle intercettazioni ha un solo effetto: ostacolare la lotta alla criminalità». Ma era l'intera strategia antimafia dell'esecutivo che Gratteri contestava: «Allo stato non mi pare che sia stato fatto nulla in positivo, si rischia di fare enormi passi indietro». Alla fine il vento è cambiato davvero, ma nella direzione opposta a quella che diceva lui, come il neocarcerato Messina Denaro può confermare. Silenzio ieri da parte di Gratteri e Scarpinato. Sempre meglio di Saviano, che ha parlato per dire che il ministro Piantedosi probabilmente sapeva dell'arresto imminente e, «per intestarsi questa vittoria, nella foga ha rischiato di far saltare tutto, dicendo "vorrei essere il ministro che arresta Mattia Messina Denaro", cosa pericolosissima». Nella foga c'è anche chi aveva detto che questo governo avrebbe aiutato la mafia, e ieri si è arrampicato sugli specchi pur di non ammettere di aver sbagliato tutto.

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