Processo col senno di poi

Conte, Speranza e il Covid, Sallusti: la Norimberga del virus

Alessandro Sallusti

Se fossi un parente di una delle quattromila vittime del Covid che, secondo la perizia depositata agli atti dell’inchiesta, potevano essere salvate se solo tutto avesse funzionato a perfezione, se dicevo fossi uno di loro mi aspetterei che la giustizia facesse il suo corso senza pietà. Mi aspetto giustizia anche io, da miracolato quale sono avendo vissuto quella stagione nell’epicentro della pandemia senza saltare un solo giorno di lavoro, ma so anche che la storia non si fa con i se e con i ma e non invidio chi per ruolo e dovere dovrà giudicare una classe politica e scientifica che si è trovata di fronte a qualche cosa di sconosciuto e più grande di lei non solo in Italia ma in ogni angolo del mondo. Ecco, non mi sembra ci siano gli estremi per un maxi processo stile Norimberga nel quale chi sedeva sui banchi degli imputati aveva giustamente le stigmate del cattivo a prescindere.

 

 

 

Questo sarà un processo certamente in nome del popolo italiano ma innanzitutto nel nome del senno di poi. E sarà paradossalmente un processo per non aver limitato a sufficienza libertà personali e collettive – le mancate zone rosse, antesignane del lockdown - quando agli stessi imputati la maggior parte degli italiani ha contestato fin da subito esattamente l’opposto, cioè un eccesso di rigore. Questo è un processo anche alla politica che, nel caso della Lombardia, è già stata assolta con formula piena dalla maggioranza dei cittadini che alle recenti elezioni regionali hanno confermato nell’urna il governo che gestì quell’emergenza. Insomma, più che a un fatto ci apprestiamo a processare una storia, forse la storia più drammatica del dopoguerra.

 

 

 

E allora bisogna andare molto cauti perché le carte dicono tanto ma non tutto: non è che un atto di eroismo cancella una negligenza ma una giustizia giusta dovrebbe tenere in conto entrambe le cose. E infine notiamo con piacere che i Cinque Stelle prendono atto che un politico, nel caso Giuseppe Conte, può rimanere in carica anche se rinviato a giudizio con una accusa gravissima quale è l’omicidio colposo plurimo. È proprio vero che per capire le cose a volte è necessario sbatterci contro la faccia. E Conte eccome se ce l’ha sbattuta.