Unire i puntini

Gianfranco Fini, bomba politica: "Quale partito se lo carica"

Pietro Senaldi

Ha ragione Antonello Venditti: certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano. Stiamo parlando dell’attrazione fatale tra Gianfranco Fini e la sinistra; anzi, di Gianfranco Fini per la sinistra, che non lo ricambia ma cinicamente lo riceve in casa e gli strizza l’occhio ogni volta che le fa comodo. E lui immancabilmente ci ricasca, facendo la fine del tonno nella rete. Il fondatore di Alleanza Nazionale, della quale è diventato anche l’affondatore per aver troppo seguito le sirene progressiste, è da qualche mese ospite fisso di Mezz’ora in più, l’approfondimento politico della controra domenicale di Raitre condotto da Lucia Annunziata. Rispolverato dopo anni di silenzio e punizione nello stanzino delle cose vecchie e inutili, Fini non si dev’essere fatto molte domande sulle ragioni del ritrovato interesse della sinistra per la sua persona e agli inviti della giornalista, giusto ieri accusata di faziosità da Fratelli d’Italia, ha sempre risposto presente. Anche domenica scorsa l’ex leader ha fatto il suo compitino e, interrogato, ha dato la risposta che la professoressa Lucia si aspettava: «La Meloni dica, so che ne è convinta, che libertà e uguaglianza sono valori democratici, sono della Costituzione, sono valori antifascisti. Non capisco la ritrosia a pronunciare questo aggettivo; anzi, la capisco ma non la giustifico. Fdi dica che si riconosce nei valori antifascisti oggi, come An ieri».

 

 

 


Immancabile, Repubblica ha preso le parole dell’ex capo della destra e ci ha aperto il giornale del lunedì, esattamente come faceva una quindicina d’anni fa, quando Fini ebbe le sue crisi mistiche e si mise a parlare come Bersani. Allora le motivazioni di Gianfranco erano palesi: il centrodestra era al massimo storico, Berlusconi era oggetto di una campagna stampa feroce e di un’offensiva giudiziaria che mai era stata così determinata e l’allora presidente della Camera approfittava del proprio ruolo, e della vicinanza che questo gli garantiva con il Quirinale, per dare scacco a re Silvio, nella speranza di disarcionarlo e prenderne il posto. Pare ormai innegabile che ad assecondarne l’ambizione fino a illuderlo, per poi usarlo anziché aiutarlo, sia stata proprio la sinistra, forse fin dal Colle più alto, la quale riuscì a fare dire al pover’uomo qualsiasi cosa; alcune delle quali peraltro, come l’abiura del fascismo, sacrosante, anche se notisti raffinati come Pierluigi Battista ancora sostengono che in realtà l’ex leader di An non sentenziò mai che il regime fu «il male assoluto», tant’è che nelle cronache di allora questa frase non compare, ma gliela mise in bocca un’agenzia di stampa, riassumendone liberamente il pensiero, e lui si limitò a non smentire.

 

 

 


CORDA SPEZZATA

Fatto sta che, complice anche l’infatuazione politica del momento per l’allora ministra dell’Ambiente forzista Stefania Prestigiacomo, Fini tirò al punto la corda da spezzare il rapporto con il centrodestra e i suoi elettori, che ci impiegarono un amen a bollarlo come l’utile idiota della sinistra, e realizzò un suicidio politico al confronto del quale quello di Renzi è niente. La penosa vicenda del cognato e della casa di Montecarlo tolta per due lire dal patrimonio di An è solo un triste corollario del tramonto dell’ex leader, non la sua motivazione. Ora che la Meloni è riuscita laddove lui ha fallito, ovverosia nel sovrastare Berlusconi, e che è diventata il nuovo nemico pubblico numero uno di Pd e compagni, ecco che Gianfranco è tornato di moda a sinistra, che ne ha fatto il suo opinionista televisivo di punta. Anche stavolta Fini si presta non per ragioni ideali bensì per trarne un vantaggio personale. Le ambizioni si sono ridimensionate, dalla poltrona di Palazzo Chigi l’uomo che si iscrisse al Movimento Sociale dopo aver visto Berretti Verdi con John Wayne è passato a scalpitare per un rientro anche dalla porta di servizio, ma sono sempre quelle che la sinistra solletica per ottenere da lui quello che le serve.

In questo caso il compito richiesto, mettere in difficoltà il premier sull’antifascismo, è una sorta di invito a nozze per il destrorso pentito, lui lo svolge con riconoscenza e passione, premiato dal plauso della stampa progressista, sempre pronta a inebriarlo fino a stordirlo. Come quando sostiene che la democrazia sia un valore dell’antifascismo e non invece, come è, che l’antifascismo è una delle conseguenze del valore primario della democrazia, che la Costituzione pone all’articolo 1 e non nelle disposizioni transitorie, dove relega i rapporti della Repubblica con il Ventennio. Come finirà la storia, è già scritto: seguendo i sassolini che la sinistra gli dissemina sul percorso, Gianfranco finirà ancora una volta fuori strada. A meno che non se lo carichi Calenda per piazzarlo tra la Carfagna e la Gelmini.