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Altro che derive, ecco perché a questo Paese serve più autorità

di Spartaco Pupo venerdì 9 giugno 2023

2' di lettura

Nella vicenda del Pnrr, Giorgia Meloni sta dimostrando che non ha alcuna intenzione di sottrarsi a quello che è un dovere etico, prima che politico: pretendere chiarezza e trasparenza. La premier, infatti, è partita, qualche mese fa, dalla necessità di rivedere il piano in base alle concrete possibilità che i progetti enunciati hanno di essere eseguiti nei tempi stabiliti dall’accordo con l’Ue. Ed è giunta, in questi ultimi giorni, alla stretta sul controllo concomitante della Corte dei Conti proprio per far fronte a questa esigenza. Sa bene che i “sogni” non progettabili andranno in soffitta insieme alle aspirazioni irrealizzabili di molti politici, nazionali e locali, e ai malcelati “appetiti” delle opposizioni. D’altronde, ad essere scarsamente funzionale al processo di rapida “decisione” imposto dall’Ue non è affatto il tanto biasimato “autoritarismo” della Meloni, bensì proprio la pretesa delle opposizioni di un “posto a tavola”. Dai tagli mirati, dalle necessarie potature e dalla velocizzazione dipenderà il successo del piano, e la premier dimostra, forse con eccesso di zelo, di voler agire alla luce del sole.

Gli esperti sanno che il Pnrr non è realizzabile senza la “centralizzazione” in un’unica autorità politica, la premiership, appunto, che Giorgia Meloni fa bene ad accentuare per una ragione molto semplice, e tutta politica: nessuno, né dell’opposizione né della maggioranza, e forse nemmeno del suo partito, le perdonerebbe un passo falso nella gestione del compito che è chiamata a svolgere. È quindi sacrosanto, oltre che lecito, agire con uno spiccato senso di autorità, che nulla c’entra con la “deriva autoritaria” denunciata dalle opposizioni. L’autorità, in effetti, ben lungi dall’essere un’offesa, come ritengono certi solo ni della sinistra, è il sale della politica, giacché è il fondamento che legittima e istituzionalizza il potere. È la fiducia nella legittimità del potere, infatti, a trasformare l’ordine in diritto e l’obbedienza in dovere, conferendo efficacia e stabilità alla relazione tra governanti e cittadini. L’autorità diventa “autoritarismo” solo quando che la detiene nega la legittimità e pretende di dare ordini senza giustificato motivo.

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E non è certo questo il caso dell’attuale Presidente del Consiglio, democraticamente eletto e legittimamente incaricato a svolgere le sue funzioni. Se non si ha voglia di riguardarsi qualche testo giuridico – anche perché la letteratura sul tema è molto vasta – i censori dell’operato della premier potrebbero andare a rileggersi qualche classico di teoria politica, se non di Roberto Michels o Carl Schmitt, almeno di Hannah Arendt, autrice non certamente di destra. Ebbene, in Che cos'è l'autorità? (1970), proprio Arendt definiva l’autorità, in forza della quale agisce un politico legittimamente deputato a governare, come «la pietra angolare che ha reso il mondo durevole e permanente» e che, nientemeno, garantisce «la continuità, la solidità e le fondamenta del mondo». Una lezione per molti! 

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