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Giuseppe Conte vuole mettere EllySchlein fuorilegge

Elisa Calessi
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Due soli articoli. Per evitare quelle che Giuseppe Conte definisce «candidature truffa». È la mossa contro Giorgia Meloni, ma soprattutto contro Elly Schlein, del leader del M5S che, ieri, ha depositato una proposta di legge che, se approvata, impedirebbe agli eletti nel Parlamento nazionale di candidarsi a quello europeo. A meno che, ovviamente, non si dimettano. Una legge, insomma, che renderebbe inammissibile la scelta fatta non solo da Meloni e Antonio Tajani, ma anche da Carlo Calenda, Matteo Renzi, e soprattutto Schlein. Perché è soprattutto con la leader del Pd che Conte si gioca il derby di queste elezioni proporzionali. E dunque è soprattutto lei, in queste settimane in ascesa nei sondaggi, il bersaglio. Come lui stesso ha spiegato, «se la proposta verrà approvata, questo inganno collettivo che si sta consumando a danno dei cittadini non sarà più possibile». Il primo articolo della proposta di legge di cui è primo firmatario Conte recita: «Non possono essere candidati e non possono ricoprire la carica di membro del Parlamento europeo coloro che ricoprono la carica di deputato, di senatore e di componente del governo alla data della pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi elettorali».

«SCELTA PUBBLICITARIA»
La proposta di legge introduce modifiche all’articolo 5-bis della legge numero 18 del 24 gennaio 1979 in materia di elezione degli europarlamentari spettanti all’Italia. Nella relazione che introduce la proposta di legge si punta il dito contro il «malcostume politico» portato avanti «da alcuni deputati, senatori e membri del governo che si candidano alle competizioni elettorali europee, pur sapendo, già in anticipo, che non onoreranno il mandato elettorale». Per Conte si tratta, come si legge nella relazione, di una «scelta pubblicitaria», di una «finzione puramente promozionale» a cui mettere fine. Non solo. «All’odioso fenomeno delle candidature fittizie», si legge ancora, «si accompagna poi spesso quello delle pluricandidature in più collegi da parte dei leader di partito, anch’esse fittizie, considerata l’indisponibilità di questi ultimi, in caso di elezione, a rinunciare agli incarichi di governo e nel parlamento italiano per esercitare il proprio mandato al Parlamento europeo». Una condotta che, denuncia Conte nella relazione illustrativa, «ha contribuito ad accrescere negli anni un clima di generale sfiducia da parte dell’elettorato».

 

 

Conte, riprendendo, poi, un argomento che aveva usato Romano Prodi, fa notare, sempre nella relazione, che «l’espressione di una preferenza a favore di chi, se eletto, non andrà a ricoprire l’incarico di europarlamentare, rappresenta un vulnus ed un elemento di rottura del sistema democratico». Da qui la proposta di introdurre una nuova ipotesi di incandidabilità, posta «a tutela dei diritti riferibili all’art. 48 della Costituzione», ossia «al diritto di voto e agli articoli 3 e 51 della Costituzione, che attengono alla parità del voto e alla parità di opportunità richieste per accedere alle cariche pubbliche». Per il leader pentastellato, la proposta è compatibile «con la legislazione europea, che definisce norme comuni per tutti gli Stati membri» e «alla luce del principio di uniformità della disciplina tra gli Stati membri, ben potrebbe aspirare a diventare norma europea». Sui social ha rincarato la dose, scrivendo che «non si trattano così i cittadini. Non si ingannano gli elettori». Ha, poi, citato «la presidente del Consiglio Giorgia Meloni», ma anche «altri leader politici» che, «per prendere qualche voto in più, vi chiedono di scrivere il loro nome sulla scheda elettorale a giugno, sapendo benissimo che la loro è una finta candidatura, che non lasceranno mai i loro posti al governo e in Parlamento per andare a Bruxelles a rappresentarvi». Ha ricordato che questo escamotage veniva chiamato «candidature civetta, fatte per racimolare più voti». Ma è bene chiamarle «con il giusto nome: candidature-truffa». Quindi, ha sottolineato la diversità del M5S: «Noi del M5S questo non lo facciamo. Io questo non lo faccio, a costo di sacrificare qualche voto. Non è serio e rispettoso delle persone».

 

 

ARMI IN UCRAINA
Parlando, poi, alla stampa estera, a proposito del Pd, Conte ha detto che «su alcune battaglie stiamo insieme, ma su altre non ci siamo», come per esempio per «l’invio di armi all’Ucraina». Ma non è solo la politica estera a dividerli: «Per le nostre liste non ho fatto casting, anche le personalità esterne che abbiamo candidato, come Antoci e Tridico, sono figure che rafforzeranno le nostre battaglie», ha aggiunto Conte. Quindi, stilettata al Pd: «Ho visto che il Pd ha fatto legittimamente altre scelte, ha candidato personalità che possono raccogliere un più ampio consenso anche in chi la pensa diversamente dalle posizione ufficiali del partito», ha proseguito. Dura la risposta di Matteo Renzi: «Conte non si candida perché ha paura di non prendere i voti. Si sarebbe tranquillamente candidato se avesse avuto la certezza di prendere voti. Siccome ha paura, lui non si candida».

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