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I due "veri" manifesti che hanno fatto storia

Cento anni fa, proprio in questi giorni, la cultura italiana si divise sul fascismo
di Corrado Ocone sabato 26 aprile 2025

3' di lettura

Cento anni fa, proprio in questi giorni, la cultura italiana si divise prendendo posizione sul fascismo, che, con la promulgazione delle prime “leggi fascistissime”, si era fatto regime. Il 21 aprile 1925, cioè nel simbolico giorno del “Natale di Roma”, su molti ed importanti quotidiani nazionali fu pubblicato il Manifesto degli intellettuali fascisti. A stenderlo fu Giovanni Gentile, delegato dagli organizzatori del primo Convegno degli istituti fascisti che si era svolto a Bologna qualche settimana prima. Il congresso e il Manifesto erano rivolti soprattutto all’opinione pubblica internazionale, che, da una parte, non aveva generalmente ancora ben chiaro cosa fosse e si proponesse il fascismo e, dall’altra, si era fatta l’idea che esso fosse un movimento talmente rozzo da avere tutto il fronte della cultura all’opposizione. Entrambe le iniziative furono un successo: i maggiori esponenti della cultura italiana del tempo aderirono all’appello lanciato da Gentile e dai fascisti. Fra i firmatari del Manifesto troviamo, ad esempio, due premi Nobel, Pirandello e Ungaretti, scrittori di fama internazionale come D’Annunzio e Malaparte, il fondatore del futurismo Marinetti, il maggiore storico italiano Volpe, personalità come Soffici o Di Giacomo.

Per convenienza o convinzione, per il carisma esercitato da Gentile o per un mix eterogeneo di ragioni, la grande cultura italiana dimostrò allora, e confermerà anche in seguito, di essere in sintonia con il nuovo regime. Il giudizio dato nel 1969 da Norberto Bobbio nel suo Profilo ideologico del ‘900 italiano (ma poi da lui stesso corretto) di fascismo e cultura come elementi antitetici e dell’età fascista come un periodo vuoto di cultura è perciò del tutto fuorviante. Fu probabilmente proprio questa forte adesione a convincere Benedetto Croce a rispondere positivamente alla richiesta rivoltagli da Giovanni Amendola di redigere un testo da far firmare agli intellettuali che non si erano allineati. La “risposta di scrittori, professori e pubblicisti italiani al Manifesto degl’intellettuali fascisti” comparve il primo maggio (altra data simbolica) sul quotidiano Il mondo e pochi altri fogli.

Fra i firmatari c’erano nomi di spicco, da Ansaldo a Ferrero, da Fortunato a Mondolfo, ma c’erano soprattutto i rappresentanti di quella esigua classe dirigente antifascista che avrebbe poi dato il tono alla Repubblica dopo la guerra (da De Ruggiero a Einaudi, da Jemolo a Salvatorelli).

Il fatto più rilevante è che, ad una lettura attenta dei due Manifesti, il dissidio appare quasi come una discussione teorica interna al liberalismo, soprattutto una resa di conti definitiva fra due filosofi che erano stati amici e sodali. Il Manifesto fascista riflette infatti le idee di Gentile, le quali erano solo una delle componenti ideologiche del fascismo, che con gli anni avrebbe annoverato un fronte sempre più ampio di antigentiliani. In esso il fascismo veniva visto come il compimento del Risorgimento liberale, un movimento teso ad instaurare un liberalismo più vero e compiuto. Idee discutibili a cui Croce poté facilmente contrapporre un’idea più classica e ottocentesca di liberalismo costituzionale e nemico dello “Stato etico”.

I due Manifesti sono all’origine di una vicenda storica che ha segnato la cultura italiana negli anni a seguire. Una vicenda fatta di divisioni, intrecci, discordanze e concordanze, trasformismi, repentini passaggi da un fronte all’altro (quanti gentiliani sono, ad esempio, diventati comunisti ed hanno occultato i debiti col maestro?). La netta separazione fra fascisti e antifascisti, che ha sicuramente un senso storico e politico, e forse persino morale, rischia di essere fuorviante nell’ambito culturale: non solo perché la cultura conserva sempre una certa sua autonomia, ma anche e soprattutto perché rischia di precluderci una seria comprensione di quella storia intellettuale dell’Italia che arriva, con le sue contraddizioni e i suoi limiti, sino ad oggi.

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