C’è in Italia una perenne partita di Monopoli un po’ schizofrenica, che procede sempre in senso orario rigorosamente da sinistra a destra, con i dadi che assegnano i punteggi delle scuse, delle abiure, delle prese di distanze, della solidarietà, dell’indignazione, e con le carte delle possibilità e degli imprevisti calate dall’alto.
Ci mancava pure l’università di Harvard epurata degli studenti stranieri da Donald Trump per far starnazzare le oche del Campidoglio rosso su sfracelli alla cultura, alla libertà e ai diritti, esigendo naturalmente che il governo italiano faccia ascoltare alta e vibrante la sua protesta, secondo stereotipi più da Pravda sovietica che da Istituto Luce.
Come se il fumantino presidente multicrinito si fosse permesso di non chiedere il parere preventivo a Giorgia Meloni per un atto del tutto in linea con lo stile trumpiano. L’insorgenza dell’opposizione è da teatranti provinciali che arringano inesistenti pubblici osannanti da palcoscenici creduti prestigiosi: sulle barricate con lo sdegno per tutte le occasioni, con la modaiola chimera della resistenza partigiana e della rivolta landiniana.
Il ministro Antonio Tajani dovrebbe addirittura – udite udite – convocare l’ambasciatore degli Stati Uniti e fargli uno shampoo con la richiesta di ritiro immediato del provvedimento. Un politico sempre schivo nell’apparire nonostante il peso elettorale preponderante di Avs, come Angelo Bonelli, per l’evento epocale di mobilitazione civile e di indignazione proiettata oltreoceano ha generosamente lasciato la scena alla co-portavoce Fiorella Zabatta, la quale ha calcato la mano sull’«attacco senza precedenti alla libertà di insegnamento e al diritto allo studio» e sulla «xenofobia istituzionalizzata, mascherata da ragioni di sicurezza nazionale e antisemitismo».
Talmente vero che dopo l’uccisione a pistolettate di due giovani diplomatici israeliani a Washington è scattato l’allarme terrorismo in mezzo mondo; ma forse visto da sinistra quel duplice assassinio non era un «attacco senza precedenti al diritto alla vita» e la «xenofobia antisemita» non è probabilmente abbastanza diffusa da ritenerla un pericolo per la «sicurezza nazionale» e internazionale. Eh no, la sinistra «follia» è che Meloni non si dissocia abbastanza da Trump, nemico pubblico numero uno all’estero.
L’università non si tocca, e neppure la libertà di insegnamento, e neppure se Harvard qualche stridore l’ha fatto sentire forte e chiaro sulla questione palestinese e sull’atteggiamento anti-israeliano e anti-ebraico, il che renderebbe legittima qualche riflessione sull’insegnamento e sul concetto di libertà di espressione. Ma forse Zabatta, nella turnazione mediatica con Bonelli che l’ha disassuefatta alle dichiarazioni di logica e buon senso, è stata colta in contropiede. La sinistra, andiamo a memoria, sulla libertà delle università è sempre stata tollerante, equidistante e paladina dei diritti a prescindere: infatti chiedeva – o faceva chiedere dagli studenti politicizzati – di stracciare accordi di collaborazione con gli atenei israeliani, pretendeva di decidere chi potesse o meno parlare nelle aule del sapere, chi potesse fare volantinaggio al di fuori, chi potesse entrare e chi dovesse uscire, quali bandiere andavano esposte e quali bruciate e calpestate. Per carità, tutto in nome dei diritti, stirando o appallottolando come un pongo l’articolo 33 della Costituzione sulla libertà d’insegnamento e articoli vari. Per comprenderne la coerenza basta tirare a caso i dadi del Monopoli politico: l’importante è che il segnapunti vada a parare in una casella presidiata dal centrodestra, oppure animare il gioco mettendo le carte degli imprevisti nel mazzetto di quelle delle probabilità e viceversa. Il tutto all’inseguimento del Parco della Vittoria, elettorale naturalmente, con la mentalità da Vicolo corto e da Vicolo stretto.