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La Venere "sessista" e la maternità depennata

Degenerazioni femministe: un singolare caso di rimozione di una statua a Berlino è lo specchio dei tempi
di Annalisa Terranova lunedì 26 maggio 2025

3' di lettura

Via quella Venere nuda: è sessista. Un singolare caso di rimozione di una statua a Berlino ci viene raccontato sul Corriere del 25 maggio da Mara Gergolet. Sei mesi fa era infatti misteriosamente sparita dall’ingresso dell’Ufficio federale per i servizi patrimoniali a Berlino la Venere dei Medici, copia bronzea del primo Settecento dell’originale custodito agli Uffizi e che si è scoperto poi essere stata depositata al museo Grassi di Lipsia. Perché? Perché in base alla legge sulle Pari opportunità, la scultura poteva essere percepita come “sessista”.

Un caso eclatante di cancel culture a beneficio di quanti negano i guasti di questa pericolosa tendenza censoria in Europa e nell’intero Occidente. Un bel colpo di spugna allora sui corpi femminili che hanno caratterizzato la storia della pittura dal Rinascimento in poi? Sarebbe ridicolo anche solo il pensarlo. È probabile che siamo dinanzi, dunque, ad un mix di femminismo mal concepito e di puritanesimo che si spera resti isolato.

Tuttavia l’episodio si presta a qualche riflessione aggiuntiva. È noto che esiste nel femminismo una tendenza a giudicare i dipinti dove compare un nudo femminile l’espressione di un punto di vista maschile “predatorio”. Insomma, un’arte patriarcale nel cui contesto persino la Venere di Botticelli si trasforma in donna-oggetto anziché – com’è realmente – essere simbolo di una bellezza pura e vitale, capace di ispirare solo emozioni sublimi.

Ma dipingere un corpo nudo può anche essere veicolo di emancipazione. Lo testimonia l’originalissima storia delle sorelle Caira, Maria, Anna e Giacinta, che emigrano a fine Ottocento da un paesino della Ciociaria, Gallinaro, per recarsi a Parigi, dove fanno le modelle e non si fanno problemi a posare senza veli.

Maria metterà in piedi poi una scuola d’arte – l’Académie Vitti aperta solo alle donne che si esercitano a dipingere nudi maschili e dove tra gli insegnanti compare Paul Gaugain. Una storia davvero avvincente, quella di queste tre sorelle e in particolare di Maria Caira, che contribuì a far superare la preclusione dello studio del nudo maschile alle donne, in precedenza escluse dalle commesse più importanti, quelle delle grandi decorazioni allegoriche a tema mitologico o religioso.

È davvero singolare, poi, che mentre si pretende di vedere in un nudo femminile un’immagine che può urtare la sensibilità delle donne, si applauda poi a sentenze come quella recente della Corte costituzionale, che legittima la figura della “madre intenzionale”. Si tratta di un concetto astratto, che va a destrutturare quel “simbolico materno” che un certo femminismo vede come il fumo negli occhi. Basti ricordare in proposito il famoso saggio “L’amore in più” della scrittrice francese Elisabeth Badinter, secondo la quale il sentimento materno non è affatto naturale, ma è solo una convenzione inculcata nelle ragazzine a partire dalla metà del XVIII° secolo.
La sentenza della Corte costituzionale, salutata come luminosa fuoriuscita dal Medioevo, più che uccidere la figura del padre come è stato scritto, è ulteriore tassello di quella morale dei diritti formali che prescinde dalla solidità dei paradigmi che per secoli hanno guidato le società.

La cultura progressista, di cui il femminismo fa parte, è una concezione dove ogni elemento solido è percepito come ostacolo all’autodeterminazione del singolo. Si va così trasformando anche il concetto di famiglia, che diviene il luogo di rivendicazione del diritto esteso all’infinito in quanto coincidente con desideri infiniti. Il concetto di famiglia tradizionale comporta anche la responsabilità verso l’altro, ed è differente dalla famiglia dove vige solo il diritto dei singoli. Ovviamente, chi sostiene un punto di vista più problematico su questi temi viene accusato di oscurantismo e schiacciato da forme di quel nuovo maccartismo che opportunamente il filosofo Stefano Béttera ha definito come “strategia del lamento”. Un’arma usata per delegittimare il pensiero non allineato.

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