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Referendum, elettori in fuga: Elly Schlein non li ha visti arrivare

I nove motivi che hanno condannato le opposizioni a una sconfitta annunciata e prevedibile (ma non per loro): quello che la segretaria del Pd & co. proprio non capiscono
di Daniele Capezzone lunedì 9 giugno 2025

3' di lettura

Il referendum? Un clamoroso flop per la sinistra: al voto il 30% degli aventi diritto, il quorum è un miraggio. E il quesito sulla cittadinanza facile incassa oltre il 34% di "no", il triplo rispetto agli altri quesiti. Una sconfitta a tutto tondo per il fronte progressista. Di seguito, vi proponiamo il commento di Daniele Capezzone su Libero di lunedì 9 giugno: le urne erano ancora aperte, ma era già tutto chiaro...

I nomi e i cognomi sono ben noti: Maurizio Landini, Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli, Riccardo Magi. Si tratta dei capi e sottocapi della sinistra che hanno sbagliato tutto lo sbagliabile, e si preparano a raccogliere nelle prossime ore una memorabile sconfitta referendaria.

1. Su cittadinanza e immigrazione, sono andati letteralmente contromano in autostrada. Gli italiani chiedono di stringere le maglie, e loro volevano allargarle, anzi slabbrarle. Un caso di follia politica. C’è da credere che non prendano un bus o una metro da qualche anno: non c’è altra spiegazione possibile.

2. Sul lavoro, hanno scelto un bersaglio ideologico, mostrando di non aver compreso nulla dell’andamento dell’economia reale italiana. Il lavoro c’è, i contratti a tempo indeterminato sono in aumento, i dati sull’occupazione sono i migliori da tempo immemorabile (il problema vero - ma da vent’anni - è semmai quello dei salari). E loro invece? Con gli occhi fissi sullo specchietto retrovisore, hanno convocato gli italiani per una crociata ideologica contro i residui normativi della stagione renziana.

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3. E perché lo hanno fatto? Perché la vera posta in gioco era una sorta di doppia “opa”: un’operazione egemonica di Landini su tutta la coalizione, e una convergente operazione egemonica di Schlein sulle correnti del Pd. Una specie di doppia pretesa di sottomissione.

4. Ciechi loro a pretenderla, ma ciechi anche troppi altri (dentro e fuori il Pd) ad accettarla. Gli stessi “riformisti” - intimiditi, muti, mai combattivi - si sono limitati a qualche tenue lamento, quando invece avrebbero dovuto e potuto dare battaglia. E invece no: otterranno forse dieci seggi sicuri alle elezioni del 2027 (più o meno quello che il vecchio Pci garantiva agli “indipendenti di sinistra”), e in cambio hanno preferito tacere e subire.

5. È pesantemente sconfitta anche la sinistra mediatica e culturale, tutta presa dal proprio odio contro Meloni e Salvini. Eccole lì le grandi firme dei giornali un tempo maggiori, i telefaccioni, tutti quelli che - in odio al governo - si sono accodati a una campagna minoritaria nei numeri e massimalista nei contenuti.

6. Resta osceno l’uso della tragedia in Medio Oriente come estremo trampolino di lancio referendario, con una manifestazione convocata sabato scorso, nel giorno del silenzio elettorale, e nella quale per un verso la sinistra ufficiale non è stata in grado di dire mezza parola contro Hamas e per altro verso ha cercato di usare la piazza per un disperato appello finale al voto. È finita secondo il noto monito di Pietro Nenni: piazze piene, urne vuote.

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7. Nessuno provi - adesso - a cercare scuse parlando di mancata informazione. Per carità: di informazione ne servirebbe sempre di più, per principio. Ma - da vecchio referendario - chi scrive non ricorda una sola campagna negli ultimi vent’anni che abbia avuto più spazi mediatici e più echi di questa. Niente alibi, dunque.

8. Ancora più patetico è stato il tentativo della sinistra, nella giornata di ieri, di accreditare l’idea che nei seggi stessero accadendo cose strane. Signori, è bene che qualcuno ve lo dica: ai seggi non sono andati neanche tutti i vostri elettori. Fatela finita con queste scuse risibili.

9. I cittadini italiani sono saggi. Vanno al voto quando è davvero importante farlo, e non ci vanno quando sentono che non ne vale la pena. E soprattutto – anche rispetto ai dibattiti a cui assistono in tv sanno porsi la domanda decisiva: “Stanno parlando di me o stanno parlando di se stessi?”. Cioè: stanno affrontando i problemi del paese o stanno giocando una loro partita di palazzo? Stavolta era vera la seconda opzione. E dunque - comprensibilmente quanto inesorabilmente - è scattato il vaffanquorum.

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