Volantini, piazze, social media, ospitate in televisione. Tutto inutile. Il vero grande sconfitto di questo referendum è Maurizio Landini. Il segretario della Cgil è stato il principale promotore del voto dell'8 e 9 giugno. Il risultato? Nessun quorum, nemmeno da lontano: l'affluenza ai seggi veleggia attorno a un miserrimo 30 per cento. Il flop del sindacalista è stato totale. Così si fa sempre più lontana la possibilità di vederlo ergersi a leader della sinistra italiana, quella che secondo molti potrebbe essere la sua grande ambizione nascosta.
Ma c'è dell'altro. Landini aveva provato a sfruttare la campagna elettorale referendaria per nascondere sotto il tappeto la polvere della Cgil. Il sindacato, di cui lui è il segretario, dà tempo licenzia e dà il benservito a parte dei suoi dipendenti. Insomma, un Landini a due facce. Da un lato il grande accusatore del governo Meloni e difensore dei diritti dei lavoratori. Dall'altro, invece, il rottamatore interno: mancati reintegri sfidando le sentenze dei giudici, contratti da fame, chiacchiere su pensioni, precarietà, lavoro stabile e dignitoso e immancabile difesa dell’articolo 18.
Ma qual è il vero obiettivo di Maurizio Landini? Semplice: affossare il campo largo. Spieghiamoci meglio. Come scrive il Secolo d'Italia, il mancato raggiungimento del quorum per il Referendum ha mostrato agli italiani che il poker d'assi Schlein, Conte, Fratoianni, Bonelli non è minimamente in grado di detronizzare Giorgia Meloni. Perciò serve qualcosa di nuovo per risollevare le sorti della sinistra. E chi meglio di Landini, che ha invocato la rivolta sociale, per cacciar i "fascisti" dal governo? In base all'esito del referendum, forse tutti meglio di Landini, ma questo è un altro discorso...