Roberto Saviano è uno scrittore che confonde il suo ruolo di propagandista con il suo valore letterario. Il suo ruolo è di indubbia importanza nel modesto circolo del libro, ma il valore non fa di lui nemmeno l’ombra di un Giovanni Verga.
Sgonfiato il fenomeno Gomorra, è rimasto il pallone gonfiato dell’opinionista, così il Saviano agitatore politico si è mangiato in un sol boccone il prosatore. Preceduto dalla vanità e seguito dalla spocchia, Roberto è comicamente intrappolato nel suo personaggio. S’impettisce, s’inalbera, s’impenna, s’inerpica, s’impapocchia, sale in alto in alto in alto e poi... casca a terra, nella banalità.
Chiamato in tribunale da Matteo Salvini, il querelato Saviano è adirato per l’affronto, nei suoi occhi fibrilla il gran rodimento, basta una telecamera accesa e lui, come un ninja schizza sulla scena, stringe la mano al ministro e saetta un “vergognati”. Cose grosse. La storia del Saviano Furioso rivela tutto il pregiudizio delle classi colte, l’idea che la penna del Grande Scrittore sia infallibile, il suo verdetto indiscutibile, il commento sempre dalla parte del Giusto. Le pagine dei giornali e i talk show grondano di granitiche opinioni rigorosamente progressiste, pezzi di un’antologia partigiana dove il disprezzo per il non allineato si espande in maniera inversa al talento, più sono scarsi e più sono tronfi.
Il grottesco caso del Saviano che s’offende per il Salvini che pretende, pensa un po’, solo la soddisfazione dalla legge, fa emergere tutta una filosofia di vita editoriale, politica, salottiera: la querela è santa se è di sinistra, ma è un attentato alla democrazia se è di destra; l’insulto e la diffamazione sono di destra, la sublime battuta e la pura satira sono di sinistra; l’arte retorica è a sinistra, il turpiloquio è a destra. Nel talk show a reti unificate del progressismo tutti si prendono sul serio, c’è poco da ridere, nella loro caricatura dell’Italia, non bisogna mai dimenticare che il momento è grave perché quei bifolchi che non hanno mai letto un libro e usano la penna come cerbottana hanno vinto le elezioni.
Governano, signora mia che scandalo è questa democrazia. Giovanni Raboni sul Corriere della Sera nel 2002 mise nero su bianco un articolo intitolato “I grandi scrittori ? Tutti di destra”, fu un colpo di cannone nel conformismo del dibattito sulla letteratura, la cultura e, naturalmente, la politica: «La verità dei fatti è la seguente: che non pochi, anzi molti, anzi moltissimi tra i protagonisti o quantomeno tra le figure di maggior rilievo della letteratura del Novecento appartengono o sono comunque collegabili a una delle diverse culture di destra – dalla più illuminata alla più retriva, dalla più conservatrice alla più canagliesca – che si sono intrecciate o contrastate o sono semplicemente coesistite nel corso del ventesimo secolo».
Seguì dibattito e archiviazione nella cantina dei compagni. L’intellettuale impegnato non lo freghi, egli si smarca sempre con abilità, opportunismo, puntualità. Sono in gamba, niente da dire e in fondo aveva ragione Alberto Arbasino nel fotografare il processo di trasformazione dell’intellettuale con uno scatto di cazzeggio magico: «Brillante promessa, solito stronzo, venerato maestro». Non è Saviano.