In una calda serata di fine giugno, intervistato dal direttore della Stampa Malaguti, Romano Prodi regola i conti con la sinistra e cerca di mettere fuori gioco Orban e i sovranisti. Come? Con un referendum «L’Europa è paralizzata, non prende decisioni: serve un referendum contro l’unanimità». Quel referendum che non viene ammesso per dire dentro o fuori dall’Unione (o meglio: volete rinunciare agli Stati nazionali per fare l’Europa?)perché, ci hanno sempre spiegato, la Costituzione non ammette referendum abrogativi in materie di trattati internazionali, ora sarebbe auspicabile. «All’unanimità non si gestisce nemmeno un condominio: propongo un grande referendum europeo contro l’unanimità».
Ho come il sospetto - ma sicuramente non sono all’altezza del Professore - che un referendum del genere abbia le stesse chance di superare il quorum degli ultimi quesiti proposti agli elettori italiani. Però lì la colpa è della sinistra: «Le domande erano incomprensibili». Invece quello sull’abolizione dell’unanimità sarebbe di grande presa? Da queste parti crediamo di noi. Vuoi mettere con il “Leave or Remain” che scatenò il pandemonio in Europa più che a Bruxelles? «Dopo la Brexit – ha continuato Prodi – nessuno andrà via, neanche l’Ungheria; però vogliono fare i cavoli loro».
Eccolo il vero problema: non è il principio decisionale in sè a non piacere ma il fatto che qualche euroribelle, qualche sovranista alla Orban possa disturbare il manovratore! L’Ungheria che intralcia sul green, sui migranti o sulle comunità lgbt dove il premier magiaro rivendica piena sovranità politica e quindi legislativa. Ma a Prodi e quelli come lui questa opzione non piace, quindi cerca la “via democratica” per metterlo in fuorigioco. Sempre così: la democrazia è il grimaldello con cui forzano le decisioni; guai a rivendicarlo per domandare al popolo se per questa Europache è l’unica esistente - vale la pena sacrificare le Nazioni.
Del resto quando ai cittadini è stata data la possibilità di esprimersi, per Bruxelles, sono stati dolori: furono bocciature in Francia e in Olanda su quel che rimase del lavoro fatto dalla “Costituente europea” (la Convenzione) e da allora i cittadini rimasero fuori dalla porta. Fino alla Brexit, quesito consultivo e non vincolante ma dal fortissimo impatto politico tanto che l’allora premier David Cameron ne prese atto, si dimise ma non per questo lasciò cadere il voto dei britannici. Da qui poi la cantilena: se gli inglesi potessero rivoltare non commetterebbero lo stesso errore. Non è vero visto che anche alle ultime amministrative il partito che ha guadagnato di più è stato quello di Farage, mister Brexit, il cui consenso continua ad aumentare.
«Serve un’Europa unita», ripete come un mantra il Professore. Ma di fronte al direttore della Stampa che gli faceva notare come in sala non ci fossero i giovani, cioè la famosa “generazione Erasmus”, ecco la presa d’atto. «I giovani sono i più euroscettici, purtroppo. Perché è un’Europa che non decide più». Per capirci, i giovani non sono più così entusiasti del progetto europeista perché l’Europa non decide? No, forse perché hanno compreso che l’Europa non li protegge, non garantisce loro un futuro. Del resto non c’è una Costituzione, non c’è una legittimazione dal basso, non c’è una leadership da poter scegliere e l’unica istituzione per cui si vota conta quasi nulla. Tanto che la presidente della Commissione, Ursula Von Der Leyen, aveva pure cercato di tagliarlo fuori dalle decisioni riguardanti il ReArm Ue. Poveri giovani: avevano raccontato che con l’euro non ci sarebbero più state guerre e invece...