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Dazi al 30%, perché Giorgia Meloni è convinta che la vera partita inizi adesso

di Fausto Carioti domenica 13 luglio 2025

3' di lettura

L’introduzione di dazi al 30% tra quasi venti giorni, durante i quali si negozierà sino all’ultimo, fa parte del modus operandi di Donald Trump. Il presidente statunitense poggia sempre una pistola carica sul tavolo, e quella che gli serve per la trattativa con la Ue l’ha messa ieri. A palazzo Chigi lo sanno e per questo sono convinti che l’errore più grave, ora, sarebbe attaccare il capo della Casa Bianca e abbandonare quel tavolo, come tanti a sinistra chiedono di fare. Ci sono di mezzo imprese e posti di lavoro e serve sangue freddo, perché adesso inizia il confronto “vero”. La guerra commerciale con gli Stati Uniti è l’estrema soluzione e spetta a Bruxelles impegnarsi affinché non si debba arrivare a tanto.

È questo il ragionamento che sta dietro al comunicato uscito ieri dagli uffici di Giorgia Meloni. Un testo cauto, nel quale però c’è tutto. Spiega che il governo «continua a seguire con grande attenzione lo sviluppo dei negoziati in corso tra Unione europea e Stati Uniti, sostenendo pienamente gli sforzi della Commissione europea che verranno intensificati ulteriormente nei prossimi giorni». È il modo per ricordare che tutto è ancora in gioco e che a giocare sarà la Ue, e in particolare l’esecutivo europeo, che ha la competenza esclusiva sulla politica commerciale.

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Il governo confida poi «nella buona volontà di tutti gli attori in campo per arrivare a un accordo equo, che possa rafforzare l’Occidente nel suo complesso». A maggior ragione in uno scenario come quello attuale, nel quale Cina e Russia lavorano per separare Europa e Stati Uniti, «non avrebbe alcun senso innescare uno scontro commerciale tra le due sponde dell’Atlantico». Appello finale: «Ora è fondamentale rimanere focalizzati sui negoziati, evitando polarizzazioni che renderebbero più complesso il raggiungimento di un’intesa».

Il governo di Roma è in buona compagnia: subito dopo la mossa di Trump, il ministro dell’Economia tedesco, Katherina Reiche, ha invitato la Ue a negoziare «pragmaticamente» con gli Usa. A Bruxelles sembrano averlo capito. Il “succo” della nota con cui von der Leyen ha risposto alla lettera di Trump coincide con la posizione italiana, laddove assicura che nella Commissione intendono «continuare a lavorare per raggiungere un accordo entro il primo agosto».

È questa la partita che si gioca in Italia e in Europa: da un lato i trattativisti, i pragmatici; dall’altro gli apocalittici, gli ideologizzati, quelli che colgono l’occasione per dare sfogo al loro antiamericanismo e all’ostilità per Trump. Buona parte della sinistra italiana appartiene al secondo gruppo. Elly Schlein invoca «una presa di posizione netta e forte del governo e di Giorgia Meloni» e nessuno, nell’opposizione, sembra aver capito che Trump ha previsto altri venti giorni di negoziati, nei quali potrà succedere di tutto. La linea, ancora una volta, è quella del verde Angelo Bonelli, per il quale il presidente americano «ha dichiarato guerra al mondo intero» e dunque ora «l’Europa deve reagire con i controdazi sui prodotti americani». C’è un evidente piacere, lì e tra i Cinque Stelle, nel raccontare che è tutto già deciso, Meloni ha perso e l’asse atlantico (inclusa l’odiata Nato) è rotto per sempre.

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Ma lo scontro decisivo avviene a Bruxelles, dove c’è subito una scelta da fare. Riguarda le contromisure su prodotti “iconici” statunitensi come le motociclette Harley-Davidson e i jeans Levi’s, che dovrebbero scattare alla mezzanotte di lunedì 14 luglio: possono essere confermate oppure congelate sino ai primi di agosto, in coincidenza con l’ultimatum di Trump. Oggi ne discuteranno gli ambasciatori dei ventisette, domani sarà il turno dei ministri del Commercio. Il presidente francese Emmanuel Macron spinge affinché sia adottata la linea dura, usando «tutti gli strumenti disponibili». Una posizione diversa da quella tedesca e italiana: la spuntasse lui, ricomporre i cocci dell’Occidente sarebbe molto difficile.

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