Quello del «compagno che sbaglia» è un antico e forse incorreggibile tic della sinistra. Cosa si nasconde dietro quella formuletta? La difficoltà- per non dire l’impossibilità - di condannare in modo definitivo chiunque appartenga, in un modo o nell’altro, alla loro stessa tribù. Se fai parte del medesimo paesaggio umano, la critica è sfumata, velata dall’empatia, temperata da un filo di comprensione, arricchita da una nota pedagogica. Diversi decenni fa, fu anche grazie a questo approccio e a uno schema mentale di questo tipo che il terrorismo di sinistra poté godere di una qualche indulgenza culturale e mediatica. Mai concessa invece per ovvie- all’estremismo di destra.
Passa il tempo, la storia corre, eppure si finisce sempre lì. Sicuramente in buona fede (noi - creduloni incalliti - la presupponiamo sempre in chiunque), ieri su Repubblica due personaggi diversissimi tra loro, ma accomunati dalla militanza a sinistra, ci hanno proposto delle variazioni sul tema. Ecco Luca Casarini, nella sua prima vita capo delle tute bianche, e ora - nella seconda - gran vate bergogliano dell’accoglienza pro migranti. Sentito dal quotidiano progressista sul pestaggio all’autogrill di Lainate del papà ebreo (davanti al figlioletto di sei anni), Casarini ci consegna un’intervista impagabile: «Cedere alla rabbia è un regalo a Netanyahu». Chiaro, no? Mezza riga è più che sufficiente per dare un buffetto agli aggressori antiebraici: «È chiaro che hanno sbagliato, ma...». E già dall’apparire del «ma» intuite dove si va a parare. «Ma mi interessa dire un’altra cosa a quelle persone». Ah sì, e cosa? Tenetevi forte: «Il favore più grande che si può fare a chi ha trasformato Gaza in un inferno è cedere a questo odio». Quindi - lo dico con parole mie, rischiando con la mia notoria rozzezza di distorcere il pensiero finissimo, altissimo e non violento del Casarini - non bisogna pestare gli ebrei perché se no la cosa potrebbe indirettamente giovare a Netanyahu.
Segue una filippica sulla “pulizia etnica” portata avanti dai coloni in Cisgiordania, un’altra pacata riflessione su Netanyahu («Capisco cosa ti sale su vedendo cosa il governo israeliano sta facendo a dei bambini»), e un colpetto a Trump-Meloni-Salvini («Non è una guerra quella che il governo Usa sta facendo agli immigrati? O quella nel nostro mare, dove migliaia vengono fatti morire perché “umanità in eccesso”, poveri e pure neri?»). Alé. Vi chiederete se vengano pronunciate le parole “Hamas” e “terrorismo”. La risposta è semplice: no. E un pensiero minimamente gentile verso israeliani ed ebrei? Sì, ma solo a patto che siano anti-Bibi: «Ricordiamoci anche gli israeliani che coraggiosamente protestano contro Netanyahu». Quelli sì, quelli vanno bene. E gli altri? Non è dato saperlo.
E veniamo allora all’altro personaggio, una firma storica di Repubblica, Michele Serra. Serra, maestro di eleganza, non inciampa di certo nei trappoloni in cui casca Casarini. E dunque, nella sua rubrica, sia in testa che in coda, si premura di inserire una condanna nettissima e inequivocabile degli aggressori dell’autogrill. Furbo come e più del suo sodale Fabio Fazio, Serra non si fa certo prendere in castagna. E allora ecco subito squadernata la “stupidità” dei membri del branco, il loro “shining negativo”, il loro “fanatismo”, la loro “ossificazione del pensiero”. In coda Serra è ancora più severo nel descrivere l’ottusità del fanatico, che «in ogni domanda, in ogni dubbio, legge solo cedimento e tradimento». Ineccepibile.
Occhio però alla parte di mezzo del corsivo, in cui Serra ci propone una curiosa distinzione. «Il fanatico di destra (il fascista) è in qualche modo coerente con un pensiero di prevaricazione fisica e di sottomissione degli altri». Mia traduzione libera: il fascista è ontologicamente una bestia, sa solo pestare e schiacciare gli altri. E invece il fanatico «democratico»? Qui Serra tocca vette liriche: il fanatico di sinistra «che si ritiene portatore di solidarietà e uguaglianza» come fa a «bruciare bandiere, picchiare persone, sbraitare insulti e odio, senza sentire cigolare i suoi cardini?». Ecco dunque la lavagna che distingue buoni e cattivi. Il teppista di destra è una belva: di più, una belva coerente con il suo non-pensiero.
Quello di sinistra invece avrebbe ideali buoni: e deve stare attento a non contraddirli con comportamenti inappropriati. Dite che la mia sintesi è arbitraria e manipolatrice? Non mi pare. Mi sembra invece di ritrovare proprio le “spiegazioni” di certa pubblicistica sugli anni del terrorismo: l’estremista di destra come un animale assetato di sangue, e per di più manovrato da servizi e massoneria deviata; l’estremista di sinistra, invece, sarà stato violento pure lui, ma in nome di una torsione errata di ideali giusti. A me pare che siamo sempre lì, al solito vizio intellettuale. Ma- davvero- spero ardentemente di sbagliarmi.